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Brusegan Maria Grazia
ZANZIBAR al gusto di zenzero
e cardamomo.
All'arrivo in Africa il primo incontro
è con il sole, vivo, caldo, spesso accecante.
Siamo partiti 18 ore fa, calzati e vestiti per un clima diverso.
Appena sbuco dall'aereo mi esce un bel sospiro di soddisfazione
e benessere, è prima mattina e c'è un bel sole ad
aspettarmi. Non vedo l'ora di togliermi le scarpe.
L'aria è umida, deve essere piovuto da poco e copiosamente.
In cielo residui di nuvoloni e pozzanghere ai bordi della strada.
Novembre è stagione di "piccole piogge",
speriamo bene.
Secondo incontro, il traffico. Niente male. Caos di carretti,
biciclette, taxi, pedoni, camion e furgoncini, motociclette. Tutti
e tutto sulla stretta carreggiata. La guida è una gimcana.
La regola è: schivare o essere schivati, all'ultimo momento
naturalmente.
A Zanzibar staremo 15 giorni con base all'Imani Hotel nel quartiere
di Bububu, un po' fuori Stone Town, in riva al mare, lato
ovest.
Non si tratta di un albergo-villaggio dove il turista vive in
"atmosfera modificata", ma è un alberghetto inserito
in un contesto normalissimo, dove i vicini di casa sono, da un
lato i pescatori locali e dall'altro una chiassosa discoteca locale.
Anche la stradina di accesso è molto tipica e ci si deve
fare l'occhio. Si lascia la strada principale, asfaltata, affiancata
da negozietti e bancarelle, e si prende lo sterrato sconnesso,
zigzagante tra abitazioni e orti, in un punto è inghiottito
da un'enorme pozzanghera, rifiuti un po' ovunque. Una leggera
discesa ed eccoci arrivati.
Il giardino dell'albergo è piccolo
ma pieno di varietà, un campionario dell'isola. Buganvillee
in perenne fioritura, un cocco che ogni tanto lancia i suoi pesanti
frutti, cannella, citronella, vaniglia, ibisco, monstera, plumeria,
croton, papiri, sansevierie, la stravagante heliconia rostrata
e altre a me sconosciute e c'è anche bush baby che
di sera lancia grida e rumoreggia correndo da un lato all'altro
del tetto senza farsi mai vedere.
La marea è bassa e le piccole barche (catamarani ngarawa)
sono appoggiate al bilanciere. I pescatori ci guardano arrivare.
Troppo seri. Non pare gradiscano molto la nostra presenza. In
15 giorni non siamo riusciti a sviluppare nessun contatto con
loro, anzi è stato un po' imbarazzante averli costantemente
spettatori delle nostre azioni, soprattutto per noi donne quando
si stava a prendere il sole o ci si immergeva per il bagno.
Però questa sistemazione anche per noi è stato un
ottimo punto di osservazione della vita locale. Verso sinistra
si pesca. Gli uomini escono di sera con le barche. Nel buio più
pesto si vedono le loro luci tremolanti disposte a semicerchio
in fondo all'orizzonte. Un semplice ma suggestivo spettacolo notturno.
Le donne invece, completamente vestite, durante la bassa marea,
in prossimità della riva, raccolgono gamberi e molluschi
o, semi immerse, in gruppo, pescano con la rete su acqua bassa.
Anche sul lato destro ci sono pescatori, ma pochi. Quel tratto
di spiaggia piuttosto viene usato dai ragazzini per giocare e
dai ragazzi per fare footing, oppure da gruppetti di donne per
passeggiare.
E, abbiamo anche visto lavare qualche animale: una gallina, una
capra, una mucca.
L'isola non è grande e tutto è facilmente raggiungibile.
Disponendo di un'auto in un paio d'ore si arrivava dappertutto.
Abbiamo visitato varie spiagge su tutti i lati di Zanzibar e,
anche se quelle sul lato est, fronte oceano, sono strepitose:
lunghe e larghe, acqua turchese e calda, sabbia bianchissima,
servizi, negozietti ma tanti villaggi turistici, io preferisco
quelle a ovest.
Meno famose, più piccole, deserte, ma con il mare pieno
di vita perché la barriera corallina è vicina e
fare il bagno con maschera e pinne, equivale a vivere in un documentario.
Stelle marine psichedeliche, anemoni, pesci tropicali, e coralli,
una variegata moltitudine di forme e colori. Anche meduse purtroppo.
A tanta bellezza e piacere, ho dovuto pagare uno tributo, dopo
il primo bagno mi sono ritrovata la parte interna delle cosce
e degli avambracci ricoperta da una miriade di punture che per
una settimana mi hanno procurato un enorme prurito, che si sia
trattato di microplancton (come dicono le guide) o di baby meduse
(come tendo a credere) non sarà facile scoprirlo fatto
sta che i miei successivi bagni li ho fatti con maglia e pantaloni
lunghi.
Coperta sia in acqua che fuori. Pur essendo caldo a girare mezzi
nudi ci si sente a disagio. Nell'isola tutti sono molto vestiti,
in particolare le donne che indossano abiti lunghi e portano il
velo. Alcune tengono scoperti solo gli occhi, in questo caso il
loro vestito è completamente nero, ma generalmente gli
abiti femminili sono molto colorati. Sopra all'abito vero e proprio
indossano con molta eleganza il khanga, 2 teli rettangolari
dalle innumerevole fantasie e colori, uno l'annodano in vita e
con l'altro si coprono il capo.
La gente, un miscuglio di fisionomie, è la grande protagonista
dell'isola. E' una popolazione laboriosa, le attività seguono
il ritmo del clima: mattina e sera, quando è più
fresco. Trovarsi in giro al tramonto (se non ci si fa impressionare
dal traffico con le sue particolari "regole" - ad esempio
tutti gli automezzi girano a fari spenti con brevi flash di segnalazione),
soprattutto nelle parti più interne dell'isola è
un'esperienza straordinaria e imperdibile. La strada e i sui bordi
diventano il luogo dell'incontro e delle attività fino
a notte fonda. Tutto brulica nel buio che diventa sempre più
pesto. Ma a poco a poco la foresta si illumina delle deboli luci
dei lumi a petrolio accesi nelle case. Rare le lampade elettriche.
Gruppetti di donne o di uomini o di bambini chiacchierano o giocano.
Altri si radunano davanti ai pochi posti dove c'è la tv,
che lancia bagliori azzurrognoli. Le moschee sono illuminate dalla
luce elettrica, quasi abbagliante in tanto buio. Vengono approntate
bancarelle per la vendita di verdura, pesce, frutta e cibo cotto
alla brace o fritto, illuminate solo da un lumicino o dai fuochi
per cucinare. Tutto sfila in un interessante spaccato di reale
vita locale.
Della vegetazione originaria nell'isola rimane poco, grandi trasformazioni
sono state fatte per far posto alle piantagioni di spezie e noci
da cocco.
L'unico pezzettino di foresta autoctona è composto da mogano
rosso, palma da olio, palma da rafia, felci, ficus strangolatore
e sicomoro dall'imponente apparato radicale, si conserva grazie
al Parco Jozani dove vivono 2 tipi di scimmie. Le "blu",
in fase di censimento, difficilmente avvistabili perché
vivono sulle cime degli alberi più alti, le altre, le Colobo
Rosso di Zanzibar (una specie a rischio di estinzione per
la competizione antropica sul loro ambiente) sono facilmente avvicinabili
perché vivono più vicino a terra e non temono l'uomo.
La parte del parco che comprende un bosco di mangrovie è
attrezzata con passerelle in legno che consentono di aggirarsi
in quell'intrico di tronchi, radici e rami. Con la bassa marea
è interessante vedere quanta vita c'è in quella
fanghiglia nerastra pullulante di granchi che, a differenza di
quello che mi aspettavo, non emana nessun particolare odore.
Il clima un po' umido, soprattutto sul
lato ovest favorisce le coltivazioni
Gran parte dell'isola infatti è coltivata e rigogliosa.
Le coltivazioni sono organizzate a strati. Gli alberi più
alti: palme e alberi del pane, non sono fitti e ombreggiano senza
soffocare la vegetazione sottostante ricca di tante qualità
di spezie, frutta e verdure.
Con tanti e tali prodotti la cucina è un delizioso piacere.
I cuochi dell'Imani Hotel, dei veri chef, ci hanno fatto assaggiare
tutte le specialità locali. A colazione torta al cardamomo
e per un succoso pieno vitaminico frutta fresca a volontà:
gli sconosciuti jack fruit e la mela di Zanzibar,
dolci banane e squisiti manghi, aranci e
papaia, anguria; a pranzo e cena pietanze sempre
diverse dove la qualità del cibo, la fantasiosità
dei piatti con l'immancabile e sapiente uso delle spezie ne ha
fatto una delle esperienze più interessanti del viaggio.
Nella costa est e sud invece il clima è
più arido e la vegetazione si riduce ad una bassa e stentata
macchia corallina, punteggiata di giganteschi e tozzi baobab.
La natura corallina dell'isola si nota facilmente avvicinandosi
alle varie isolette che con la bassa marea spuntano dall'acqua
come sospese su una mensola. Il mare erode lo zoccolo corallino
mentre la parte emersa si conserva grazie alla vegetazione che
la consolida con le radici. Piccoli paradisi, freschi e ombrosi,
dove tra la vegetazione si nascondono le timide e piccole antilopi
dick dick o, coccolate e nutrite dai turisti, le testuggini
giganti di Prison Island. A Nungwi, in una insenatura
naturale, si possono osservare le altrettanto grandi tartarughe
marine e al largo di Kizimkazi gli amichevoli delfini,
con i quali una mattina abbiamo avuto il privilegio di nuotare.
Davanti all'albergo si avvistavano facilmente limicoli
vari, aironi neri e cormorani. All'isola di Chapwani
la numerosissima colonia di pipistrelli giganti muove al
tramonto verso la Stone Town per ripulirla di stormi di insetti.
Dall'altra parte dell'isola invece c'è la colonia di aironi
guardiabuoi in fase di nidificazione mischiate a qualche ploto
africano e a tanti schiamazzanti corvi, predatori di
uova; temo che la loro eccessiva presenza abbia compromesso le
popolazioni di altri uccelli perché data la floridezza
dell'isola troppo poche specie si vedono in giro.
In giro per l'isola è facile vedere piccoli cantieri navali
dove vengono costruite le tipiche barche locali. Niente motore,
solo il vento o i remi. Tutto viene rigorosamente fatto a mano
con attrezzatura minima e grande impegno fisico. Partono da solidi
tronchi d'albero, che vengono spianati, sagomati e assemblati
con tecniche semplici e risultati rustici. Tra un'asse e l'altra,
per sigillare, viene incastrato il capòc, una fibra vegetale
prodotta localmente. Per ultima viene issata la candida vela.
Data la vicinanza, siamo andati varie volte a Stone Town
utilizzando i "dalla dalla", l'efficiente sistema
di trasporto collettivo urbano a mezzo di minibus e/o camioncini
più o meno "storici". Si sale quasi in corsa.
Pur essendo il mezzo sempre stipato all'inverosimile il posto
c'è sempre, eventualmente in piedi. Oltre all'autista c'è
un ragazzo con varie mansioni: procaccia clienti chiamando per
attirare l'attenzione, incassa il costo del trasporto, segnala
ostacoli e fermate battendo con una mano sulla carrozzeria. E'
stata una delle più simpatiche e veraci esperienze del
viaggio.
Eccoci a Stone Town, non solo in centro per visitare la
bella zona storica (monumento UNESCO) ma anche in periferia, al
mercato e a zonzo senza meta se non quella di immergerci nell'atmosfera
e nella vita quotidiana.
Come la popolazione, dai tratti eterogenei, anche la parte storica
del capoluogo è un mix di influenze africane, arabe e indiane
che testimoniano un passato di notevole ricchezza. Zanzibar è
stata punto strategico per il terribile commercio degli schiavi,
che venivano prelevati dal centro Africa e successivamente imbarcati
per i luoghi di destinazione. Poi cominciò la coltivazione
delle spezie. Tutto ciò produsse notevoli ricchezze tanto
che dal 1840 fu sultanato e poi capitale dell'Oman. Poi (1964)
venne la rivoluzione per liberarsi dal dominio straniero ma che
portò anche una fase di declino e abbandono. I bei palazzi
ora sono solo in parte restaurati e molto altro ci sarebbe ancora
da recuperare e risanare. E' un vero peccato che tutta la storia
di Zanzibar sia riassunta in pochi oggetti contenuti nel Palazzo
delle Meraviglie e, per quanto riguarda il Museo di Storia Naturale,
il degrado e l'incuria è tale che per vedere le malandate
collezioni è necessario dotarsi di una torcia.
Ma a ravvivare il centro storico ci pensano i pittori di tinga
tinga *, con i loro coloratissimi dipinti naif che
spiccano nelle viuzze strette e scrostate.
Oltre agli edifici più importanti: Palazzo delle meraviglie,
Vecchio dispensario, Palazzo del Popolo, Forte arabo, Chiesa Anglicana,
le caratteristiche della città sono i massicci portoni
di ingresso arricchite con borchie e intagli, i grandi balconi
rinfrescati dalla brezza marina. Predomina il bianco, ma c'è
anche un po' di ocra e salmone con tocchi di azzurro su porte
e finestre. E c'è gente, la città e l'isola tutta
è vivace e colorata, piena di gioventù. I vecchi
sono rari. Tanti bambini e giovani. Le scuole sono strapiene.
Bello vedere tutto quei bambini e bambine però
Il nostro viaggio, oltre che turistico, aveva lo scopo di sostenere
un progetto di cooperazione internazionale rivolto alla scuola
primaria e secondaria di Bububu: 5000 alunni, 80 per classe! Mille
bisogni. Le necessità sono tante e per ora i promotori
del progetto stanno raccogliendo fondi per realizzare i bagni
e per l'acquisto di banchi. Per noi è stata una bella e
simpatica occasione per incontrare gli insegnanti e visitare gli
edifici scolastici, non so se definirli spartani o spogli, di
fatto si tratta di soli muri, vecchi banchi e un tetto in lamiera.
L'incontro, se pur piacevole, ci ha dato un certo smarrimento
per la pochezza del nostro contributo. Li lasciamo con l'augurio
e la speranza che il progetto segua un lungo e proficuo corso
per offrire a quei bambini qualche minimo confort o qualche attrezzatura
in più.
* questo genere prende il nome da Edward Said Tinga Tinga che nella sua breve vita (morì a 32 anni) rappresentava in modo originale la vita africana. Non riuscendo a produrre quadri a sufficienza insegno la tecnica a parenti e amici che ne perpetuano lo stile.
NOTIZIE UTILI
GUIDE: poco si trova sulle guide attualmente in commercio da noi,
ma molto interessante ed esaustiva è "LA GUIDA ESSENZIALE",
in italiano, che si trova nelle librerie di STONE TOWN.