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Brusegan Maria Grazia

PENSANDO A ISTAMBUL

Sto ascoltando distrattamente la radio quando, mi giunge: "terremoto in Turchia".
Le notizie e le immagini sono drammatiche. La mente, lenisce l'emozione, riportandomi a due anni fa e al bel ricordo di Istambul. Arriviamo di sera. La città è piena di luci, addobbata per le prossime feste natalizie!!! ma... siamo sicuri di aver preso l'aereo giusto?
La visita inizia subito. Le 3000 botteghe del Gran Bazar ci ubriacano con merci e spezie di tutti i tipi. E' quasi notte, attraversiamo una piazza affollata, ci sono ancora bambini in giro, ci attorniano: grida e calci per accaparrarsi le nostre scarpe la lustrare.
Le mattine sono un po' umide e brumose, come si addice alle città di mare. Il tragitto in taxi ci avvicina al centro storico mostrandoci il risveglio della città. La luce è azzurrognola. Moltissimi automezzi vivacizzano la strada. Dalla foschia (nebbia o smog?) emergono minareti e cupole.


Dal ponte di Galata proseguiamo a piedi. La zona brulica di attività: sulla banchina sinistra, dai pescherecci stanno scaricando grandi quantità di pesce;
dai parapetti del ponte sporgono decine di canne da pesca, sulla banchina destra attraccano ininterrottamente battelli e traghetti da cui sbarca una vera folla che subito sciama verso le nuova giornata. Quasi tutti vestono all'occidentale. I venditori ambulanti riaprono piccole bancarelle.
Il sole ci coglie col naso per aria. Vivaci, sfavillanti fontane, incorniciano la cupola e i 6 minareti della seicentesca Sultan Ahmet Camii (la Moschea Blu). Fino al secolo scorso, qui si radunavano le carovane di pellegrini in partenza per la Mecca. All'interno si accede a piedi scalzi. Il pavimento è soffice, decine di tappeti lo coprono completamente. Grappoli di lampade, appese a lunghi cavi, pendono dal soffitto riflettendo la luce che viene da 260 finestre dalle coloratissime vetrate, 20.000 piastrelle rivestono le pareti: rosse, bianche, nere, verdi e turchesi, ma soprattutto blu.
All'esterno, i bei giardini invitano a passeggiare. Un anziano tiene sulle ginocchia il tappeto che gli servirà per pregare, una donna completamente velata supera un gruppetto di ragazze vestite all moda, coppie di uomini si tengono per mano - nessuna ambiguità in questo gesto, solamente costumi diversi dai nostri.
Una breve sosta per un buon caffè turco e poi via verso Ayasofya, la basilica di Santa Sofia.
Giustiziano desiderò questo edificio e lo volle "il più sontuoso dall'epoca della creazione" infatti è tutt'ora una delle meraviglie del mondo. Nel 1453 fu trasformato in moschea e dal 1935 in Museo.
Preziose architetture anche nel sottosuolo:
     
Yerebatan Sarayi, la cisterna della basilica, fatta costruire da Costantino per alimentare le riserve d'acqua del palazzo imperiale. Una selva di 336 colonne, sostiene piccole volte in mattoni. Procediamo sulla passerella sospesa sul filo dell'acqua. Un lento gocciolio interrompe l'assoluto silenzio. La suggestiva disposizione delle luci esalta questo singolare luogo. In fondo, reclinata nell'acqua, la splendida testa di Medusa.
Topkapi fu per 400 anni la residenza imperale dei sultani. Vi sono esposti splendidi tesori: il guardaroba di Maometto, collezioni di porcellane cinesi e giapponesi, abiti ricamati in argento e oro, armi, miniature e favolosi gioielli.
Il palazzo è composto da vari padiglioni distribuiti in 4 corti. Chi superava la prima porta era avvisato: apposite nicchie contenevano teste decapitate di ribelli, criminali e dignitari caduti in disgrazia.
La stupenda posizione del palazzo si apprezza particolarmente nella quarta corte, all'intorno il Mare di Marmara, il Bosforo, il Corno d'Oro. L'Harem, era la splendida residenza delle donne del sultano: mogli e concubine, controllate ed assistite da eunuchi neri. Un vero intrico di cortili, bagni, soggiorni, giardini, corridoi, stanze, ma anche un labirinto di perfidie, rivalità e intrighi.
Usciamo a prendere aria, a riprendere contatto con la realtà. Girovaghiamo senza una meta precisa, le vie sono piene di gente. Macchine e pedoni condividono gli stessi spazi. All'angolo un uomo vende caldarroste, disposte in piccoli mucchietti ordinati, la scorza è bianca di sale, sono molto saporite. Svoltiamo, la via è in salita, le macchine arrancano, suonano, ci si sposta e poi di nuovo in mezzo alla strada. Insegne luminose, vetrine. Più avanti un grande rotolo mi sfiora, è trasportato a spalla da un ragazzo che entra in un vecchio portone, lo seguiamo.
L'edificio, a più piani, è disposto a quadrato su un cortile. Era un caravanserraglio, ora è sede di una miriade di piccoli artigiani e commercianti.. Un ragazzino ci affianca discretamente e ci accompagna nella visita. Ci fa piacere la sua compagnia. Saliamo per una scura scaletta, un corridoio collega un gran numero di stanze. Solo i locali che danno sul cortile ricevono luce, gli altri sono completamente bui, si cammina a tentoni, i bagliori di un forno di fusione incendiano l'oscurità, deboli luci rischiarano il lavoro di fabbri e tintori. Il rumore assordante viene dai telai funzionanti a pieno ritmo tanto da far vibrare il pavimento. Un posto sorprendente pieno di precarietà ed energia. Dalla scala finalmente filtra un po' di luce, sbuchiamo sul tetto formato da una serie di cupolette e da altrettanti comignoli.
La luce è quella dorata del tramonto.
Dopo un'intensa giornata ci aspetta l'esplorazione della gustosa cucina turca e finalmente ci si siede.
Alla fine facciamo il giro panoramico della città servendoci della fitta rete di autobus, sfilano: l'acquedotto romano, le possenti mura, San Salvatore in Chora e finiamo al quartiere genovese di Galata su cui troneggia massiccia l'omonima torre. Da lassù la vista sulla vastissima città è magnifica. Il minuscolo villaggio, fondato da Byzas nel 659 a.C., è diventato una complicata e problematica metropoli di circa 6 milioni di abitanti.
Lo sfarzoso tramonto è finito, ma anche se ormai il buio esclude ogni forma, gli aguzzi minareti, che sembrano impigliati nel cielo, spiccano nitidi testimoni della magia e del fascino di Istambul.