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Copyright Brusegan Maria Grazia

PAESAGGI SICILIANI
Buganvillee coloratissime, tronchi spinosi che proteggono fiori mai visti, inebrianti gelsomini, carnosi fichi d'india. Quanto è distante Venezia?
Si fa presto a dire Italia, ma quanti chilometri è lunga questa parola. Lagune, foci, distese di granoturco e barbabietole, decine di curve appenniniche, paesi remoti su aerei cocuzzoli, fossi secchi nascosti da lussureggianti canne, colline divise in rettangoli gialli e marron, case mai finite, golfi, coste.
Si parte con la nebbia e si arriva che le cicale cantano ancora.
Mutano i paesaggi, cambiano i volti, parole e cadenze diventano incomprensibili.
Capo Milazzo è un'unghia che graffia un mare tranquillo e liscio. Trasparente, blu, anzi viola.
La scogliera si abbassa, arriva la sabbia, poi tutto scompare, nascosto da interminabili quinte di case. Un varco in questo eccesso di prime e seconde case e rivediamo il mare. Alla riva sono concessi pochi metri, c'è un po' di tutto: detriti portati dalle onde, rudimentali gazebo, blocchi di cemento contro le mareggiate. Silenzio e luce intensa. Davanti a noi ne'cielo ne'acqua. Sobriamente la natura ci regala "soltanto" azzurro. Distante e vaga, una sagoma: Vulcano.
Tindari. Le stravaganze della corrente e delle mareggiate ricompongono le sabbie in forme sempre nuove. Dove prima c'era una liscia spiaggia, ecco nascere piccoli stagni, pescose lagune, solitari arenili. Una di queste furiose mareggiate ha intrappolato una barca che ora giace curiosamente reclinata in mezzo alla sabbia. Anche un gigantesco tronco è stato depositato sopra una duna.
Su tutto domina un ripido monte rivestito di fichi d'india, sulla cima un enorme santuario riempie totalmente il panorama, solo piccoli scorci sui laghetti sottostanti.
La riva digrada velocemente, appaiono subito i primi pesci. Non serve immergersi, basta nuotare a pelo d'acqua con maschera e boccaglio ed è come aprire una balcone: un branco di cefali, poi delle occhiate, più avanti mi trovo circondata da centinaia di piccoli pesci dalla coda molto forcuta. E' magnifico. Sorprendo sotto il pelo dell'acqua, completamente mimetizzato sulla sabbia, un polpo, che se la batte a tutta velocità.
Sulla riva, due pescatori. Dicono che con lo scirocco si pesca poco. Nonostante ciò riempiono velocemente il secchio con piccoli pesci che con pomodoro e prezzemolo quella sera diventeranno un ottimo "bianchetto" per condire la pasta.
Verso i Nebrodi. Se nella costa il traffico è intenso, strombazzante e disordinato, all'interno è tutta un'altra cosa. Niente auto e motorini, i paesi sono raccolti su isolati colli, pochi incontri. Alcuni operai della forestale. Un pastore che segue gli spostamenti di poche mucche denutrite, cosa mangeranno? non c'è traccia di verde. Sono una razza tipica: resistentissime, piccole, pelose, scure, con corna appuntite. Portano un collare di legno, la campana ha un suono sordo. Anche alcuni cavalli e qualche maialino nero vagano cercando il cibo. I monti sono larghi e tondi, inizialmente coltivati, poi coperti di faggi e querce. "Prati" di erba spinosissima nascondono piccoli alberi da poco piantumati. Le felci già rosse, contrastano fortemente con il giallo dell'erba secca.
Le strade si arrampicano su crinali aridi, a tratti devastati da recenti incendi. Arretratezza, bisogno di lavoro, ricerca di nuovi pascoli; così viene motivata questa piaga. A Tortorici ci capita di incontrare il sindaco che sconsolato, indicandoci il fianco di un monte, dice "… e se ci si mette lo scirocco è un disastro. Quello, in Agosto, si è bruciato in venti minuti, e pensare che i Nebrodi sono l'ultimo polmone verde dell'isola".
Lo scirocco, che da noi si manifesta con umidità e piogge, qui è un vento caldo, potente, impetuoso, che può durare più giorni. Arriva dall'Africa carico di sabbia, che scarica lungo il percorso. Avvolge di polvere e stordisce di rumore. Irrompe, quasi a voler strappare gli alberi e le erbe secche scampate agli incendi.
Per fuggire a questo turbinio non resta che ripararsi in casa. Una sperduta trattoria ci accoglie con sapori genuini: provola, prosciutto, pomodori con i capperi e peperoni con l'acciuga. E che fuori tiri pure lo scirocco! Più tardi, in piena notte, improvvisamente cessa, ed è un gran silenzio.
Il mare è ancora mosso dal grande vento e lunghe onde accarezzano la spiaggia di Cefalù. Le piccole barche da pesca sono state tirate a riva, sono molto colorate. Bianco, azzurro, arancione, colori che esaltano gli intonaci ocra dell'antico borgo, posto su un gradino roccioso a picco sul mare.
 
Per Palermo bisogna essere preparati. Se si mette il naso fuori dai circuiti turistici e ci si infila nei quartieri popolari ecco che appaiono squarci facciate puntellate soffitti crollati sporcizia, ma anche popolose e vivaci vie dove gli artigiani e i commercianti espongono tutti i loro prodotti in strada: dalla verdura, alla luccicante latta appena lavorata; al pesce, spesso ancora vivo dentro a grandi vasche con acqua. Se ne esce disorientati e storditi. Alla Galleria Nazionale l'Annunziata di Antonello da Messina ci rasserena, ma per poco. L'atteggiamento di uno dei custodi ci inquieta. Colto e felice di dialogare; ma appena qualche suo collega entra a curiosare nella sala subito il suo parlare si interrompe. Ci confida di temere l'invidia e le chiacchiere. Le sale non sembrano molto sorvegliate, i custodi sostano nel cortile interno al museo, intenti in lunghi discorsi.
Lascio Palermo con un senso di liberazione. E' già buio, in un paese lungo la strada c'è aria di festa. La luminaria è accesa e alcuni botti richiamano l'attenzione. Festeggiano i santi Cosma e Damiano. Questa sera i protagonisti sono i bambini. Sono vestiti di bianco e rosso e portano sulle spalle una piccola "macchina" con i santi in miniatura. Davanti alla chiesa c'è moltissima gente che si accalca e spinge. La processione sosta proprio qui. I bambini iniziano una specie di ballo, saltando ritmicamente fanno dondolare e ondeggiare i santi. Sono eccitati, sudati e pieni di fervore.
Ma la festa vera sarà domenica, quando saranno i santi grandi ad uscire e a trasportarli saranno gli uomini.
Lo Zingaro è certamente il tratto di costa più bello della Sicilia, per nostra fortuna protetto. Vigilato 24 ore al giorno. Il sentiero lungo la costa è di una bellezza rara, un occhio sul verde uno sul blu. Si cammina in un "bosco" di palma nana. In alcuni punti sembra di essere in un giardino tanto varia e profumata è la vegetazione. Il mare è poco sotto, meravigliosamente blu. Ogni tanto una caletta per un bagno. Oltre a piante e ad animali, la ricchezza da conservare riguarda anche la cultura e l'economia di un tempo: le abitazioni tradizionali, le tonnare, i sentieri su cui si sono avvicendate generazioni di pastori e contadini.
 
A San Vito lo Capo tutto è un po' arabo: la struttura delle case, il loro biancore, la cucina. Per sottolineare questi antichi legami con la cultura araba ogni anno, in Settembre, si tiene il "Cous Cous Fest" Rassegna Internazionale di cultura ed enogastronomia del Mediterraneo con musica, mare e delizie. Provare per credere.
Erice un gioiello, orrendamente deturpato da antenne di ogni forma e dimensione.
         


Dopo Trapani il paesaggio cambia drasticamente. Non è un sogno, non siamo Olanda, quei mulini a vento sono veri. Un tempo erano fondamentali per pompare acqua nelle saline, ora sono abbandonati e malconci. Lungo la strada c'è una salina tradizionale in attività, ci lavorano una decina di uomini. Il sale viene caricato velocemente su carriole e velocemente viene trasferito sul rullo trasportatore. Sopra il mucchio un uomo anziano lo distribuisce bene. Ogni carriola viene segnata da un addetto: più carriole più soldi. Alcune vecchie foto al Museo del Sale fanno capire quanto duro doveva essere questo lavoro, ma lo è ancora, nonostante la relativa modernizzazione dei sistemi e delle attrezzature.
  
Nell'isola di San Pantaleo abbiamo cercato le tracce di Motya. Fu colonia fenicia tra le più grandi del Mediterraneo, poi passò ai Cartaginesi, e finì distrutta dai Siracusani. Rimane poco. Abbiamo vagato tra rovine non facilmente intuibili, anche se una serie di cartelli ne indicavano le forme e le funzioni. E' difficile immaginare il valore strategico di questo avamposto ora così desolato e solitario. Siamo di fronte all'Africa. In questo mare si sono svolte battaglie tremende, che decidevano le sorti di intere popolazioni.
Tutta la Sicilia è avvolta da leggende, fatti mitici e straordinari, da tanta storia. Un'infinità di rovine e reperti archeologici sono ciò che resta di ondate di fenici, greci, romani, normanni, arabi, bizantini. Ma il loro passaggio si conserva in certi occhi o capelli o barbe dei tanti incontri fatti.

Ci sarebbero ancora: la masseria Baglio di Vajarassa, la cava di Cusa, i bottari di Marsala, Selinunte, Catalbellotta, la valle dei Templi di Agrigento senza mandorli in fiore, donne sedute sulla porta di casa, Caltanissetta, Enna, il cordaro di Trapani, Ragusa, la prostituta di Siracusa, Piana degli Albanesi, Segesta, l'Etna, gli uomini in piazza verso sera, i mosaici di Piazza Armerina, le serre di Pachino, il Castello di Donnafugata, ecc. ecc.


BUONO A SAPERSI
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