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MAROCCO: La valle del SOUS e le oasi dell'ANTI ATLANTE.

E' tardo pomeriggio, fra poco atterriamo.
I più fortunati, incollati agli oblò, sono già proiettati nella nuova realtà.
L'aereo, in brevissimo tempo, quasi una magia, trasporta in ambienti completamente diversi.
Il volo è un charter, che trasporta circa 200 persone; un particolare nucleo di persone. Sono tutte legate dallo stesso scopo: una vacanza. E questo crea un clima di generale felicità e serenità.
C'è un gran parlare (si colgono brani di precedenti esperienze) e ridere (a qualcuno serve per superare la tensione del volo).
Nonostante il viaggio in aereo non sia comodissimo, lo spazio poco e la possibilità di movimento scarsa, nel corridoio il via vai é sempre notevole.
Tra tutte queste persone ci sono i nostri compagni di viaggio. Un po' per gioco e per passare il tempo, tentiamo di individuarli. Ma l'attività è presto interrotta, sta per essere servito il pasto. C'è sempre una certa attesa per questo momento. Nonostante la qualità industriale del prodotto è pur sempre un approccio ai futuri nuovi sapori e cibi.
Le 3 ore di volo stanno per finire, lo scossone causato dal carrello sulla pista e l'applauso liberatorio (anche questo tipico della popolazione dei charter) conclude la prima fase di questo viaggio.
Le pratiche aeroportuali richiedono sempre un po' di tempo ed è quasi l'imbrunire quando possiamo partire.
Siamo in 15, più tre autisti e la guida locali
Per una settimana condivideremo sorti, emozioni e sorprese.
Le presentazioni sono state fatte e i nomi quasi tutti già dimenticati. Per il momento mi sforzo di fissare almeno quelli dell'equipaggio della mia macchina. La tappa di oggi è breve, 80 km.
Durante il tragitto stiamo in silenzio, concentrati a scrutare nella semi oscurità che ci preclude il paesaggio.
Lasciamo quasi subito l'asfalto. Al nostro passaggio si alza una nuvola di polvere. Svolazzano anche numerosi sacchetti di nylon, elemento che spesso caratterizza la vicinanza con le città e che deturpa fortemente l'ambiente, (anche perché spesso rimangono impigliati nella vegetazione).
Repentinamente il buio è diventato impenetrabile. Ma si sta avvicinando un'oasi di luce.
E' TAROUDANNT, circondata da alte mura merlate. Città di grande tradizione, che mantiene intatta la sua struttura architettonica e l'atmosfera marocchina.
Nel XVI secolo fu capitale del regno Saadita. che ne potenziò l'importanza economica. Sfruttando la fertilità della piana del Sous divenne la più forte produttrice di canna da zucchero, riso e cotone.
Dopo cena e dopo aver visitato il rigoglioso giardino dell'albergo usciamo, per gustarci il silenzio e la mitezza di una sera di ottobre nel sud del Marocco.
La mattina dopo, vincendo la pigrizia, precediamo il sorgere del sole. Trovato un passaggio, saliamo sui bastioni. Vogliamo vivere il fascino del paesaggio che prende forma. Il richiamo del Muezzin aumenta la suggestione.
Ecco, le mura lentamente di accendono di rosso ocra. Sono molto belle e ben conservate. Appare anche un ricca vegetazione di olivi, melograni, aranci, palme. Sotto di noi sui tetti a terrazza sono stesi a seccare vari alimenti. Luccicanti antenne tv ci confermano di essere effettivamente nel secolo XX.
L'aria si sta velocemente scaldando, ormai il sole ha svelato tutto, e abbiamo anche fame. Scendiamo, fra un po' il programma di viaggio inizierà a scandire la nostra giornata.
Con Taufic, la nostra guida, andiamo a visitare il souk. Grandi quantità di bancarelle, coloratissime merci e molta animazione. Sono prevalentemente uomini. Le donne in circolazione generalmente indossano un mantello, variamente colorato, con cui si coprono anche la testa.
Il mercato esercita sempre una forte attrazione. ma ci aggiriamo senza comprare nulla; siamo ancora storditi dal brusco passaggio tra il nostro quotidiano stile di vita e questa nuova situazione.
Alla parte opposta del mercato ci stanno aspettando le auto che ci porteranno all'oasi di TAGMOUTE.
L'abitato finisce presto e subito entriamo in un ambiente arido, brullo, l'estate ha bruciato tutto.
La luce abbagliante appiattisce i fianchi di sterili colline.
Ma la presenza di muretti e terrazze fanno intuire che in primavera questi pendii si ricoprono di vegetazione e coltivazioni.
Ogni tanto si incontrano piccoli villaggi. Le case costruite in mattoni di fango cotti al sole sono perfettamente integrate nel paesaggio, solo qualche balcone è colorato di turchese. Un tocco di verde è dato da qualche fico d'india. Le abitazioni sono circondate da una mura che ne delimita il cortile. Poche le aperture verso l'esterno: una piccola porta d'ingresso immette nel cortile e piccole finestre riquadrate di bianco.
Qualche abitante del villaggio è stato in pellegrinaggio alla Mecca. Ce lo comunica la casa di questi fortunati, che è decorata con segni simbolici dipinti in bianco.
In ogni villaggio si nota una piattaforma circolare, con un palo nel centro a cui viene legato un asino, usata per battere il grano.
Tutto è immobile.
Via, via il paesaggio diventa sempre più montuoso e più aspro. Emergono vistose stratificazioni, rosse, impastate da forze tettoniche. Tutto è ridotto all'essenziale. I pochi elementi diventano protagonisti. E si ammira entusiasmati anche una distesa di sassi su cui, in lontananza, si posano arabescate colline.
Arriviamo ad un passo, l'aria è fresca, pulita e tersa, possiamo vedere un orizzonte molto lontano.
In fondo alla valle, dove periodicamente scorre un oued, (termine arabo che significa fiume), si scorge una stretta fascia di vegetazione.
Le piste spesso attraversano questi alvei secchi, che visti dall'alto sembrano fiumi pietrificati.
Sulla strada tracce di un recente acquazzone che non ha minimamente trasformato la costante aridità.
Inaspettata una tenda. Sono contadini nomadi. Si spostano per offrire la loro manodopera nei villaggi.
Sono accampati in un posto dove sembra non esserci nulla, ne acqua, ne vegetazione. La frugalità di questa gente è davvero estrema. Ma, a guardare bene, qualcosa c'è. Questi contadini hanno già seminato negli avvallamenti e grazie alla recente pioggia stanno spuntando le piantine del futuro raccolto
Proseguiamo.
La calda luce pomeridiana accentua il rosso che ci circonda. Anche le palme fiammeggiano al tramonto.
Arriviamo all'oasi di Tata, che raggruppa una trentina di villaggi fortificati, chiamati ksour.
Qui per secoli transitarono le carovane che collegavano l'Africa nera all'Africa del nord.
Il capoluogo è una cittadina rigidamente tagliata da alcune vie dritte, lungo le quali sono costruiti gli edifici tutti di un rosa acceso.
In albergo un incontro davvero particolare: un ricco arabo, in soggiorno qui per una battuta di caccia.
E' accompagnato da una corte di servitori. Di questo stuolo fanno parte una decina di falconieri. Ognuno accudisce un falco da loro stessi addestrato per la caccia. Il falco, incappucciato e legato, viene trasportato appollaiato sul braccio, protetto da un robusto manicotto.
La mattina successiva, dopo un breve tratto di strada in comune, le auto degli arabi si addentrano nel deserto, mentre noi ci dirigiamo ad Akka, la prossima oasi.
Tra un'oasi ed un'altra c'è il deserto, roccioso e completamente arido. Ma ben più verde e più ricca di selvaggina doveva presentarsi la zona agli esecutori delle incisioni rupestri di Foum el Hassan, risalenti a circa 3000 anni fa. Nell'arenaria sono state incise scene di caccia, carri a due ruote, antilopi, elefanti, vegetazione e laghi.
Stiamo visitando la zona presahariana dell'Anti Atlante. Il Sahara è la, dietro quella costola rocciosa.
Solo un po' di sabbia, depositata dal vento, tradisce la sua presenza, ma ciò è sufficiente per avvertirne il fascino e il mistero.
Sulla sabbia le impronte di qualche animale, la loro la vita si svolge di notte.
La ricchezza principale di questa regione è l'agricoltura, che è praticata con metodi tradizionali.
Ad Akka si producono prevalentemente datteri, di una qualità molto zuccherina. Girovaghiamo in questo nuovo posto, ascoltando, annusando, guardando. Ci colpisce soprattutto la gente, i tratti somatici sono caratteristici delle popolazioni nere del centro Africa. Questa località infatti è stata un grosso mercato di schiavi.
Più ci si addentra e più si viene in contatto con il Marocco autentico. Qui il turismo arriva di striscio, non ci sono grosse contaminazioni. I ritmi non sono frenetici, ogni azione è calcolata, non esiste lo spreco neanche nei movimenti. La vita da queste parti non deve essere ne facile ne comoda.
Solo i bambini sconvolgono questa immota atmosfera, la loro curiosità di incontrare degli europei si esprime con entusiasmo ed esuberanza da cui a volte è difficile districarsi.
Siamo ormai giunti ad Amtoudi un'oasi all'imbocco di una gola. Il paese è sovrastato da un antico granaio fortezza, utilizzato in passato dalla popolazione per proteggersi dalle aggressioni dei predoni, ospitava persone e animali. Ogni famiglia aveva a disposizione degli angusti alloggi e un magazzino per le derrate alimentari.
Dall'alto è ben evidente la struttura e l'organizzazione dell'oasi: il paese è posto sul fianco dell'arida collina, mentre tutto il terreno fertile è riservato agli orti ed al palmeto.
La presenza dell'acqua, una continua manutenzione e una sapiente irrigazione fanno delle oasi dei rigogliosi gioielli di freschezza e di verde.
Le greggi vengono fatte pascolare all'esterno dell'oasi. In realtà c'è ben poco da mangiare, tutto sembra essere già stato brucato da generazioni di pecore e capre.
Ma se non c'è l'erba mangiamoci le fronde. L'unico albero che cresce spontaneamente qui è l'Argane, le capre hanno imparato ad arrampicarvisi e acrobaticamente se lo pappano.
Passiamo per Ifrane, siamo a circa 1650 metri e tira vento di novità, alcune case nuove sono fatte con tecniche e materiali diversi da quelli tradizionali, coloratissime porte di ferro sostituiscono quelle più sobrie in legno.
Il cimitero invece è quasi invisibile. Nessun recinto, nessuna costruzione, una piccola pietra posta in verticale testimonia la presenza di una sepoltura. Il corpo è stato deposto coricato su un fianco, il viso rivolto alla Mecca.
Poco fuori il paese spicca la bianca cupola di una koubba, vi è sepolto un marabutto ovvero un santo. La venerazione di santi è una tradizione preislamica, sopravvissuta nell'area Maghrebina poiché il territorio aspro e montuoso ha preservato le zone più impervie da svariati tentativi di purificazione.

Arrivati a Col du Kerdus veniamo attratti da svolazzanti veli bianchi. Sono un gruppo di donne avvolte in un candido mantello con cui si coprono totalmente, ad esclusione degli occhi. Stanno festeggiando un moussem, una festa annuale in onore di un santo. Con loro solo bambini, pare sia una ricorrenza riservata solo alle donne. Sono molto riservate e imbarazzate. Dopo un po' una si scopre il bellissimo volto e acutissimi occhi neri si fissano nei miei.


Per non disturbare oltre, raggiungiamo la cima del colle, sembra di essere in cima al mondo.
Sotto di noi le vallate si alternano a file di ordinate colline e in fondo, dove tutto finisce, il sole.
L'arancio, il rosso e il viola dilagano. Nel cielo, sempre più scuro, alcune stelle diventano via via luminosissime.
E' difficile trovarlo sulla carta questo minuscolo paese. Tiffermit ci riserva il mercato più autentico visto finora.
Tranne noi, nessun turista in giro. I venditori e gli acquirenti sono imperturbabili, la nostra presenza non disturba i loro affari. Generalmente le merci sono a terra, accatastate in bell'ordine. In giro solo uomini, ad eccezione di una donna completamente velata che vende olio di argane (un olio prodotto dalla spremitura del frutto dell'argane. Per un litro ne vengono spremuti 100 kg in circa 10 ore di lavoro).
Qui compriamo una tajine, un particolare tipo di teglia col coperchio conico per cucinare lentamente carni e verdure. A casa ci aiuterà a ricordare gli aromi speziati e i gusti agrodolci con punte piccanti della cucina marocchina.
A Tafraoute l'aria è sottile anche a mezzogiorno. I colori sono intensi: blu acceso il cielo, rosso fuoco le rocce, verde vivo i cespugli.
Il villaggio, dipinto di rosso, è abbracciato da un cerchia di rocce granitiche, arrotondate e sovrapposte, a formare precarie torri.
Palme, olivi e mandorli attenuano la dominanza dei rossi. Gli abitanti sono berberi ed hanno spiccate capacità commerciali. I maschi vendono spezie lontano da casa. Qui restano gli anziani e le donne, che seguono le coltivazioni.
Il paese appare deserto come la gran parte dei paesi finora incontrati. Le abitazioni sono grandi, molto curate e denotano ricchezza; sono circondate da alte mura che garantiscono la completa intimità.
La leggenda vuole che in questa valle sia nato il primo mandorlo: Ibrahim e Malika si amavano,
ma le famiglie avevano altri progetti. Ibrahim nel tentativo di rapire Malika venne ucciso,
lei disperata fuggì per sempre. Dove fu sepolto Ibrahim nacque un albero, era Malika, diventata mandorlo, che ogni anno avvolge la terra con bianchi petali
Ogni primavera questa particolare nevicata si ripete e si fa festa.
Durante gli spostamenti in auto, Hassan, l'autista, ci fa ascoltare musica tipica. E' quasi sempre la stessa e ben si sposa con il paesaggio che vediamo scorrere. Alla fine del viaggio ci regala la cassetta e riascoltarla significa rivivere volti, luoghi e sensazioni.
Anche Tiznit, come Taroudannt, è circondata da mura merlate, lunghe 6 km e costruite in pisè (mattoni cotti al sole) rosa.
Fu fatta costruire dal sultano Moulay El Hassan nel 1881, ed è stata il simbolo della resistenza contro il trattato di Fes, che nel 1912, instaurò il Protettorato Francese, pochi giorni dopo questo trattato da qui iniziò una forte opposizione all'invasore straniero.
Alla vista del mare ci prende la nostalgia, siamo già alla fine del viaggio, tanto resta ancora da vedere e da capire. Stiamo costeggiando l'area di foce del fiume Massa, che è Parco Nazionale dal 1991, costituito da costa, dune, falesie e boschi, un vero tesoro verde. Uno dei luoghi del Marocco più ricco di flora e fauna, tra l'altro uno degli ultimi rifugi, a livello mondiale, dell'esigua popolazione (poche coppie) dell' Ibis Eremita, una specie in via di estinzione. L'estinzione è dovuta alla modernizzazione delle tecniche agricole, in questa zona invece l'agricoltura viene effettuata ancora con metodi tradizionali.
Siamo ormai arrivati ad Agadir (parola berbera che significa granaio) e abbiamo una giornata libera a disposizione.
Agadir, al di la del mare e della spiaggia per cui è famosa (le medie dicono che c'è il sole 300 giorni l'anno), non ha molto da offrire, essendo stata rasa al suolo nel terremoto del 1960. Decidiamo pertanto di dedicare la mattina alla visita del grande mercato, una vera orgia di colori, suoni e odori.
Decidiamo di comprare delle spezie e ci troviamo coinvolti in una estenuante contrattazione. Le merci non hanno cartellini con i prezzi e contrattare è fondamentale in questi mercati per spuntare un buon prezzo, ed è al tempo stesso un gioco e un'arte.
A volte, prima di arrivare alla fine della contrattazione, il venditore offre l'eccellente the marocchino: bollente, dolcissimo, con forte aroma di menta.
Il the è un rito, con un preciso significato simbolico: il piatto circolare SINIA rappresenta la terra, la teiera il cielo, i bicchieri la pioggia. Attraverso la pioggia il cielo si unisce alla terra.
L'atmosfera ci ha sedotto e decidiamo di stare al mercato tutto il giorno. Anche gli ultimi turisti sono spariti, attratti da altre situazioni. Ci fermiamo a fare uno spuntino in un chiosco, ordiniamo uova strapazzate, pane e the. Ormai completamente inseriti nelle abitudini locali mangiamo come loro, con le mani.
Poco distante c'è una fontana, molto frequentata, soprattutto a quest'ora. Non importa cosa fanno o dove sono, il viso rivolto alla Mecca, i mussulmani pregano 5 volte al giorno (all'alba, dopo mezzogiorno, a metà pomeriggio, dopo il tramonto, al calare della notte). La preghiera deve essere preceduta dalle rituali abluzioni: mani, piedi, testa, collo vengono lavati con acqua corrente, se non c'è acqua si può usare la sabbia, se manca anche questa basta il gesto simbolico.
Girovaghiamo fino a sera tra le verdure e le stoffe, nel settore dei sarti, o più in la dove ci sono gli oggetti tipici, o sotto i portici tra le terrecotte. Non manca davvero nulla, un souk è il condensato di un paese.
All'imbrunire la spiaggia ci attrae. Ci immergiamo nelle luci del tramonto. Spunta la sagoma di un cammello e dell'uomo che lo cavalca. Si stagliano contro il sole, è certamente un scena pensata per i turisti ma è senz'altro un'immagine molto suggestiva, da portare con noi nel viaggio di ritorno.