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Brusegan Maria Grazia

UN VIAGGIO NEL TEMPO NELLA MARCA TREVIGIANA

Si tratta di un viaggio veloce e facilmente realizzabile: basta disporre di una giornata, di una bicicletta preferibilmente, ma ci si può spostare anche in auto, un po' di immaginazione - almeno per la prima parte del "percorso" e con quattro balzi eccoci percorrere più di 3000 anni di storia.
Cominciamo da Castello di Godego dove, in località Le Motte, c'è un sito archeologico risalente all'età del bronzo. Si tratta di un appezzamento di terra quadrangolare un po' rialzato rispetto alla campagna circostante e circoscritto da un'arginatura di terra, alta mediamente 4 metri. Il tutto non è facilmente individuabile, sia perché verso la metà del 1900 l'area ha subito alcune manomissioni, sia perché l'arginatura è completamente rivestita e nascosta da una vigorosa vegetazione spontanea composta da acacie, roveri, aceri. Sarebbe più facile individuare Le Motte dall'alto, magari sorvolando lentamente la zona su una bella mongolfiera, ecco che allora i segni si farebbero più chiari e decifrabili.
Oltre all'arginatura, interrotta da tre aperture, si vedrebbero anche altri rialzi lineari, una strada rettilinea lunga un paio di chilometri e alcuni tumuli, in parte spianati per ricavarne inerti. Proprio durante uno di questi sbancamenti è emerso un interessante pugnaletto, esposto all'Antiquarium di Castello di Godego.
Le prime note storiche relative a Le Motte, risalgono al 1879. All'epoca presumevano si trattasse di un insediamento romano, "l'accampamento presenta una figura irregolare…la sua dimensione da levante a ponente è di m 232 e da mezzogiorno a settentrione di m 240…". Ma, successivamente, una più attenta indagine sulla disposizione del "quadrato" suggerisce altre ipotesi e verso il 1980, dopo il recupero di una serie di reperti, agli esperti sembra chiaro trattarsi di un sito dell'età del Bronzo. Sullo scopo invece, sono aperte ancora varie ipotesi. L'allineamento e la presenza di tumuli fa presumere che la costruzione abbia un significato religioso (solare-funerario) e/o astronomico (orientamento solstiziale, osservazioni solari utili ad una società agricola), certo che le dimensioni dell'area e l'arginatura fanno anche supporre che si trattasse di un luogo costruito per la difesa. Le risorse erano preziose e difenderle era importante, sia da popolazioni vicine che da genti che arrivavano da molto distante. L'uomo per necessità e per curiosità è sempre stato un esploratore e un migratore e all'epoca giungevano popolazioni originarie dall'Asia Minore da cui probabilmente i locali si sentivano minacciati.
Certo è che nel XII sec. a.C. per necessitare di uno spazio così ampio e per costruire un argine così grande, la comunità deve essere stata numerosa e complessa e tutti devono aver partecipato a lavori così imponenti.
Anche la scelta del luogo non è casuale, il sito è 3-4 km più a nord delle risorgive, in una zona asciutta, adatta per l'allevamento e l'agricoltura. Ora il paesaggio è completamente agreste, il bosco originario non esiste più, al suo posto ci sono coltivazioni di cereali e piccoli vigneti.
E' la campagna dove sorge Castelfranco Veneto, città monumento, fondata nel XII secolo dai trevigiani per difendersi da padovani e vicentini. Pianta quadrata, come la motta di Castello di Godego e come gli accampamenti romani, recintata da mura con quattro notevoli torri angolari. Tutto costruito in mattoni, un materiale regolare che consentiva di procedere velocemente nella costruzione, con alla base mattoni particolarmente duri per evitare infiltrazioni d'acqua.
I muri possenti, larghi metri 1.70, alti tanto quanto la capacità tecnica dell'epoca consentiva (metri 17 i muri, 20 le torri), hanno un cammino di ronda largo tanto da consentire a due soldati armati di correre incrociandosi senza intralciarsi.
La fortezza nei secoli passò di mano in mano: Ezzelino, Scaligeri, Carraresi e infine i Veneziani che daranno un forte impulso alla zona, anche con notevoli investimenti fondiari. Il Cinquecento fu il momento di massimo splendore. I commerci, soprattutto di cereali e animali, erano floridissimi e la ricchezza, si sa, abbellisce. Ville e palazzi crebbero come i funghi.
Uno degli edifici più belli e ben conservati è Villa Emo, a Fanzolo di Vedelago, un capolavoro del Palladio, una sintesi del suo stile, che fonde estetica e funzionalità.
Nel 1535 Lunardo Emo acquista la proprietà per coltivare mais, appena arrivato dalle Americhe. Emo è il primo che importa il mais nel Veneto. La coltivazione funziona e nel 1564 fa costruire la villa. Palladio progetta, con grande rigore formale, armonia e ritmo, una villa "orizzontale". Al centro l'abitazione padronale, alta, sopra un basamento a cui si accede attraverso una rampa in pietra. Ai lati, simmetriche, due barchesse con le rispettive colombaie, il bel parco.
Anche l'interno è splendido, decorato con affreschi festosi e luminosi, che raffigurano classiche scene mitologiche e religiose, ma ci sono anche figure fantastiche e bizzarre, animali e piante, tra cui il mais che evidentemente all'epoca incuriosiva e ispirava anche gli artisti.
La villa da 4 secoli è proprietà degli Emo, e, come le ville del Cinquecento, oltre che luogo di bellezza e amenità era ed è un'azienda. Attualmente, oltre alle visite alla villa, è attivo un ristorante, si può alloggiare in camere arredate con mobili antichi, godere del parco e della piscina.
Emo come Soranzo, Corner, Renier, Barbarigo, famiglie importanti e ricche che hanno impreziosito il territorio con prestigiose opere d'arte, un piacere per gli occhi ed anche per lo spirito. Un territorio, il nostro, da vivere come un museo, così ricco da avere l'imbarazzo della scelta. Un "museo" che conserva opere d'arte anche in luoghi particolari, particolari come possono essere i cimiteri. E' nel cimitero di San Vito di Altivole che i Brion, una importante e ricca famiglia dei nostri giorni ha lasciato un segno d'arte nella loro tomba di famiglia, commissionata a Carlo Scarpa uno dei più importanti architetti del XX secolo. Più che una tomba Scarpa ha voluto progettare "una dolce città oziosa" "…non un luogo pietoso…bensì …un "gioco" … un Eden ripreso alla fine della storia che conserva e trasfigura tutto ciò che l'uomo ha prodotto per millenni".
Ed è proprio una sensazione di serenità che subentra in chi visita questa vasta area sepolcrale, 2200 mq. Un terreno a L, affiancato sul lato nord del cimitero da dove si possono vedere i vicini monti, recintato da un muro che presenta alcune aperture da cui si può vedere la campagna circostante, quindi un luogo chiuso ma contemporaneamente aperto, chiuso come la morte, aperto come la vita a prospettive future, a nuove condizioni. I simboli e i richiami culturali sono tantissimi, si potrebbero passare ore a cercare di decifrarli e interpretarli, di scoprirne di propri, quasi un gioco.
Ci sono richiami sia alla nostra che ad altre culture, quella araba così legata all'acqua, l'essenzialità di quella Giapponese, a cui Scarpa tanto era legato.
Semplicità, sintesi, contrapposizioni e metafore: acqua e terra, buio e luce, spazi chiusi e spazi aperti, luoghi per meditare, sentieri interrotti, bivi, passaggi angusti, stanze, prospettive.

    
La Tomba Brion è costruita completamente in cemento armato, un materiale povero ma molto versatile, è un'opera complessa e tecnicamente difficile, per realizzarla sono stati fatti 1000 disegni e ci sono voluti 5 anni di lavorazione, dal 1970 al 1975.
Opera in cui Scarpa si deve essere riconosciuto molto, anche lui ha scelto di essere sepolto in quel cimitero, accanto alla sua monumentale opera, ma, ancora una volta il contrasto, per se ha voluto solo un angolino nascosto e una semplice pietra.
Il caso, sorprendentemente, ci ha portati in quel cimitero proprio il 28 Novembre, quasi ad onorare la ricorrenza della sua morte, avvenuta in Giappone nel 1978 per un banale incidente.

Note e informazioni
- Le Motte e Castelfranco sono visitabili liberamente, non ci sono cancelli e orari.
- Villa Emo, tel. 0423 476414, è visitabile a pagamento.
- Tomba Brion è visitabile con orari variabili in base alla stagione