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Copyright Brusegan Maria Grazia
ISLANDA di ghiaccio e di
fuoco.
Tre giganti abitavano distanti uno dall'altro, come grandi montagne.
Dopo migliaia di anni di silenzio, il primo gigante grida agli
altri due: "sento muggire un armento di vacche". Dopo
trecento anni il secondo gigante interviene: "ho sentito
anch'io il mugghio" e dopo altri trecento anni il terzo gigante
intima: "Se continuate a fare chiasso così, io me
ne vado".
La leggenda racconta del grande, magico e prezioso silenzio dell'isola,
ma quante altre cose eccezionali ci sono da scoprire in questa
giovane terra che cresce di 2/3 cm l'anno. Sorgenti d'acqua bollente,
prati vellutati, coste selvagge, deserti di pomice, delicati fiorellini
rosa, aguzze zolle laviche, vulcani e ghiacciai.
Anche se l'Islanda era un antico sogno nel cassetto prima della
partenza ci restava ancora qualche perplessità perché
al Circolo Polare Artico l'estate è cosa ben diversa dal
caldo sole italiano.
Arrivati a Reykiavik, chi era partito con maglietta e pantaloncini,
adatti ad un torrido sabato del luglio milanese, subito avverte
la necessità di un caldo maglioncino, ma per uno scherzo
del destino i bagagli arriveranno soltanto il giorno dopo. Però,
strano ma vero, grazie all'influenza della corrente del golfo
l'inverno qui è più mite che a Vienna o a New York.
A Reykiavik, che significa "baia del fumo", vivono 250.000
persone, quasi la metà degli abitanti dell'isola.
Reykiavik è una capitale tranquilla e luminosa, non esiste
traffico o ressa da acquisti. Prende vita, come tutte altre città
dell'isola, il sabato sera per la consueta nottata nei bar e locali
notturni. Ogni segno di esagerazione che ciò comporta,
viene velocemente eliminato e la mattina dopo la città
presenta il solito aspetto ordinato e pulito.
Uno sguardo alle vetrine ed un pasto, appena sufficiente, ci fanno
subito capire che i prezzi sono molto alti, soprattutto le verdure
sono carissime, ma anche la birra non scherza.
Una grande ricchezza per l'isola è il vapore caldo che
estratto dal sottosuolo diventa forza energetica e fonte di riscaldamento
per le abitazioni e questo fa di Reykiavik la città meno
inquinata del mondo.
Le case sono semplici e colorate con bei tetti rossi. La cattedrale
luterana domina la città. Lo stile architettonico delle
chiese moderne si ispira a certi aspetti della geologia Islandese
con forme slanciate, quasi a simulare una eruzione o le verticalità
del basalto colonnare.
Ma è ora di iniziare il percorso e l'esplorazione.
Appena fuori città la ricostruzione delle semplici abitazioni
di legno ricorda il luogo dove sbarcarono i primi Vichinghi nell'anno
874 d.C. Qui passarono l'inverno prima di avviarsi alla scoperta
del resto dell'isola, che era già abitata da un esiguo
numero di monaci irlandesi fin dal 790 d.C.
A Blaa Lonio (Laguna Blu) un sole accecante e le aeree tubazioni
della centrale geotermica drammatizzano la scena che appare dantesca,
ma qui i dannati sono perfettamente a loro agio e si divertono
molto, immersi in un tiepido laghetto azzurro latte da cui si
alzano sbuffate di vapore curativo.
Geysir (acqua che zampilla), ha dato il nome a tutti i fenomeni
simili esistenti al mondo. E' un luogo sorprendente. Purtroppo,
il Grande Geyser, il più famoso, alto fino a 60 mt, non
è più attivo dal 1937, ma c'è lo Strokkul,
il suo getto raggiunge i 30 mt, con esplosioni ogni 4-5 minuti.
All'intorno borbottii e vapori, fantasiose macchie di colore interrompono
la bianca piattaforma di geyserite.
La giornata sembra eterna, è mezzanotte ma è come
fosse mezzogiorno. E' la prima notte in Islanda. La situazione
è strana, il nostro concetto di alba, tramonto, notte,
viene sconvolto. Soprattutto i primi giorni non si avverte il
sonno, si decide di andare a dormire solo tenendo d'occhio l'orologio.
A Gullfoss le acque scendono in mille rivoli dai vicini ghiacciai.
Ad un certo punto si concentrano nella "cascata d'oro",
una vera forza. Inizialmente l'acqua scende lentamente, sulla
gradinata di porfido, e poi si esibisce in un fragoroso salto
di 50 metri. Il vortice finale frantuma il fiume in microscopiche
goccioline che fluttuano nell'aria per poi ricadere irrorando
ogni cosa. Se possiamo ancora ammirare tanta possenza lo dobbiamo
al grande amore di Sigridur Tomasdottir, una donna che all'inizio
del secolo si è opposta con tutte le sue forze alle forti
pressioni degli speculatori che volevano sfruttare Gullfoss a
scopi idroelettrici. Per salvare la cascata compì lunghi
e difficili viaggi per sensibilizzare le autorità e inoltrare
petizioni.
Altre fantastiche cascate ammireremo lungo il percorso: Godafoss
(la cascata degli dei) si dice che Thorgeir nel 999, dopo aver
imposto per legge il cristianesimo, vi abbia gettato le statue
degli dei pagani.
Selfoss è composta tra 3 immense cascate, avvicinandoci
ne sentiamo il fragore, la prima si lascia cadere languidamente
sulla seconda che riserva un'emozione enorme per la sua imponenza
e immensità, non si finirebbe mai di ammirarla e se un
raggio di sole la sfiora nasce il colore e l'arcobaleno la incorona.
Ormai il fragore non si sente più, di nuovo solitudine
e frastornante silenzio, oltre a noi nessun'altra presenza umana,
la pista si perde davanti e dietro di noi. All'orizzonte appare
il vulcano Hekla, di 1491 mt., nel Medio Evo era considerato la
porta dell'inferno, in effetti nel 1970 in 20 secondi eruttò
215.000 metri cubi di pomice nera.
Un'unica strada asfaltata percorre il perimetro esterno dell'isola,
all'interno solo piste per fuoristrada. Ma anche qui arrivano
gli autobus. La trazione integrale e l'altezza delle sospensioni
consentono a questi robusti automezzi di superare piste e guadi
anche molto difficili.
Ora la pista sale ad un passo, da lassù il panorama lascia
esterrefatti e increduli: l'erba sembra un drappo di velluto verde
su cui è adagiato un enorme, meraviglioso smeraldo.
A Landmannalaugar, ci attende una bella sorpresa: una fonte termale
in cui fare un fantastico bagno caldo in compagnia di altre fortunate
persone e di alcuni piccoli uccelli acquatici. Non si uscirebbe
più, anche perché fuori la temperatura è
molto rigida.
Percorrendo una cresta arriviamo a 1000 metri. Nelle vallette
sbuffi e sibili, fanghi ribollenti, muschi verdissimi e abbaglianti
affioramenti gialli. Arrivati in cima ci appare la calotta del
Vatnajokull (padre delle acque) è la cima più alta
d'Islanda, ma soprattutto è il ghiacciaio più grande
d'Europa (8.456 km2), lo spessore del ghiaccio arriva fino a 10
km.
La vastità degli orizzonti amplifica il senso di isolamento
e di remota solitudine.
Negli spostamenti si percorrono grandi spazi desertici ma gli
scenari si rinnovano continuamente: un inaspettato lago offre
scorci di incredibile bellezza; geometrici disegni formati da
leggerissima pomice spostata dal vento; un rarissimo boschetto
di betulle nane, ciuffi di fiori di un tenero rosa, o ancora una
vecchia colata lavica ormai ricoperta di argentei licheni.
Alla fine di uno sconnesso sterrato si arriva ad un piccolo disabitato
rifugio posto di fronte al ghiacciaio, una macchia di viola di
fiori di lupino risalta al sole pomeridiano, basta una piccola
depressione, una zona un po' riparata ed ecco che subito qualche
pianta fiorisce.
Nydalur, nel centro dell'isola, è un passo a circa 900
metri, qui nessuna barriera interrompe la corsa del vento che
scende dalle vicine calotte ghiacciate, si materializza, cala
giù, scivola e avvolge i fianchi del monte come un denso
manto bianco. E qui assaggiamo la gelida pioggia e una sonora
grandinata, ma un confortevole rifugio ci offre protezione. Abbiamo
a disposizione un ampio stanzone, con letti a castello, fornelli
per cucinare e acqua corrente. Fuori la bufera infuria e poi tutto
viene avvolto dalla nebbia e per un giorno intero ogni cosa svanisce.
Solo ad Akureyri, la città più importante della
costa nord, il paesaggio riprende forma e vita.
Le case sono straripanti di piante e nonostante la breve stagione
le fioriture sono rigogliose e coloratissime.
La visita ad una fattoria museo ci immerge negli ambienti caldi
e confortevoli della passata vita rurale. Del tutto autosufficienti
le fattorie erano edifici ad un solo piano, composti da molti
locali tutti comunicanti. Case di quel tipo non ce ne sono più,
solo qualche chiesetta mantiene la struttura tradizionale: tetto
erboso, muri di pietra e torba.
La curiosità ci spinge sulla punta estrema del fiordo,
per arrivarci bisogna attraversare una enorme piana alluvionale,
un ponte sospeso supera il fiume e impedisce alle greggi di andarsi
a cacciare nella palude. Camminiamo a lungo in quella che sembrava
una zona disabitata, invece sulla riva c'è un rifugio d'emergenza,
attrezzatissimo con viveri, letti con coperte, una radio, materiale
di pronto soccorso, c'è pure la stalla per chi percorre
queste zone a cavallo.
Sull'isola non c'è un albero ma sulle ampie spiagge del
nord si vedono grossi tronchi, provenienti dalla costa americana,
spiaggiati da furiose mareggiate. Anche un orso bianco ha avuto
l'ardire di arrivare dalla Groenlandia a cavallo di un iceberg,
affamato e agressivo com'era è stato abbattuto ed è
finito impagliato nel locale museo. Anche foche e balene e grosse
colonie di uccelli animano queste zone remote. Sterne che difendono
con grida e voli radenti la zona di nidificazione. Stercorari
che già da piccoli imparano che la vita non è ne
morbida ne' soffice: le uova vengono depositate dove capita, spesso
tra i sassi, nessun nido viene predisposto. In compenso i genitori
sono molto vigili ed attenti, non tollerano intrusi dove ci sono
i nidi, li attaccano senza alcun timore.
Un appuntamento atteso da tutti è quello con le Pulcinelle
di mare i simpatici uccelli, un po' goffi nel volo per via delle
piccole ali, hanno un bellissimo becco arancione sempre pieno
di pesciolini. Nidificano in buche scavate nella terra su coste
ripide da cui si lanciano ripetutamente per tuffarsi a pescare.
L'Islanda è famosa anche per i tipici ponies. E' facile
incontrare gruppi di persone che fanno trekking a cavallo. Non
essendo cavalli molto resistenti il loro numero è sempre
doppio rispetto ai cavalieri.
In un territorio come il nord Italia si sono 200 vulcani di cui
30 attivi. Non c'è sasso in Islanda che non sia di origine
vulcanica., i loro colori variano tantissimo: rosso, grigio, giallo,
nero e così pure le manifestazioni vulcaniche sono varie
e stupefacenti. Ad Asbirgy ci sono piccoli alberi, e felci, fiori
e erba rigogliosa ma sono le rocce ad essere veramente particolari.
Sulla loro struttura a riccio i geologi fanno molte ipotesi ma
è la leggenda a dare la spiegazione: sono le ghignanti
facce di un gruppo di Elfi pietrificati da un mago dispotico.
Più scientifiche le spiegazioni sui pillows (cuscini),
dovuti ad una lava viscosa che avanza a blocchi, o sui tunnel
lavici: la parte esterna di un rivolo di lava si solidifica, mentre
all'interno la massa calda scorre via lasciando un canale vuoto.
La lava a corda invece è il risultato di una lava più
fluida che si avvolge su se stessa.
Anche le caldere sono ambienti inquietanti. La salita alla caldera
dell'ASKJA, attualmente occupata da un lago a quota è 1510
mt, avviene in un paesaggio tetro, ma ricco di fascino e suggestione.
I vulcani si nascondono anche sotto i ghiacciai: il Kverfjoll
si cela sotto il Vatnajokull, la sua attività si nota per
le abbondanti fumarole e per un inverosimile laghetto dove affiora
il mitico "ghiaccio bollente".
Finalmente, dopo giorni e giorni di brutto tempo con cielo coperto,
nevicate, vento, e temperature invernali ecco che il tanto decantato
e tanto rincorso cielo Islandese si fa ammirare. Il tenebroso
paesaggio degli scorsi giorni è svanito, ora tutto è
colore, immerso in dolcissima, liquida luce cristallina.
Ormai il cerchio si sta chiudendo: ancora una vecchia colata lavica,
ormai rivestita di licheni; risale alla fine del 1700, è
scaturita dal vulcano Laki distante da qui più di 50 km.,
ancora qualche isolata fattoria con tranquille pecore al pascolo
e maestose lingue di ghiaccio che scendono dal Vatnajokull. E'
sempre lo stesso immenso ghiacciaio. Sono ormai 15 giorni che
gli giriamo attorno.
E ancora una spettacolare sorpresa, una delle tante lingue del
ghiacciaio prima di sciogliersi in mare, si sfalda, in centinaia
di scintillanti blocchi di ghiaccio che galleggiano nella laguna
di Jokulsarlon. E proprio qui monteremo l'ultimo campo in estatica
ammirazione di questo capolavoro della natura e del fantasmagorico
spettacolo di luci e bagliori che il tramonto ci regala.
In questo viaggio siamo stati a contatto con forze primordiali,
è la natura che scandisce i ritmi.
L'Islanda è uno di quei posti dove l'uomo c'è ma
sembra una situazione provvisoria, quasi un incidente di percorso,
qualcuno che ha sbagliato strada.
Una natura burlona che si prende gioco di serissimi turisti senza
mai concedere un filo di cielo per 15 giorni.
Tutto il corredo umano: case, strade, veicoli è mal tollerato,
ogni tanto un vulcano si sveglia e si scrolla di dosso questi
orpelli, ma gli Islandesi in poco più di un millennio hanno
imparato a conviverci, si adattano umilmente a queste leggi. Un
tenace amore li lega a questa terra, e quando capita, ricostruiscono
quello che Lei, LA NATURA, distrugge.
E, se è facile rimpiangere una striscia di morbida sabbia
su cui stendersi dopo un tuffo in mare, o la calda luce pomeridiana
dentro un bosco di abeti, ora so che è altrettanto facile
rimpiangere le nebbie e le piogge di questa strana, magica estate
islandese.