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Copyright Brusegan Maria Grazia
ALLA SCOPERTA DI CUBA
Con una ventina di giorni a disposizione non è difficile
programmare la visita a tutta Cuba. L'isola è lunga e stretta
e ben si presta ad un giro circolare. E' quello che desideravamo,
vedere l'est e l'ovest, il sud ed il nord, il mare ed i monti,
la campagna e le città.
Dopo aver visitato l'Havana partiamo per l'ovest, verso Viñales
e Maria La Gorda. Scegliamo un itinerario fuori mano e quindi
molto genuino e integro. E' il Circuito Norte che passa per villaggi
pieni di vita: gente in coda per gli acquisti, scolari in divisa
(camicia bianca, pantaloni o gonna, rossi o ocra, a seconda del
livello) che vanno o tornano da scuola, bancarelle con decorazioni
carnevalesche in carta, chioschi con panini alla porchetta e soffici
pizzette, rari trattori, molti cavalli e biciclette, qualche camion
carico di gente, rarissime auto.
La strada inizialmente vaga tra
campi di canna da zucchero, poi, seguendo l'andatura del terreno,
sale e scende una zona collinosa coperta di vegetazione e campi
coltivati, case sparse e paesetti. Un po' dappertutto svettano
gli alti, grigi tronchi delle palme reali con il frastagliato
e ondeggiante pennacchio verde. La terra è sanguigna e
generosa. Quando la strada sale sui dossi ecco che la vista viene
appagata, le colline si susseguono ad altre colline, qualche volta
si riesce a scorgere anche il mare o qualche rara lontana ciminiera.
Le case della campagna, bohios, sono tutte simili: tetto in foglie
di palma e pareti in legno, a un piano e con il portico, ma qui
all'ovest hanno una particolarità: tutte, ma proprio tutte,
all'esterno, sotto al portichetto ci sono due sedie a dondolo.
Anche nei paesi le case sono generalmente
a un piano, ma in muratura e con il tetto di tegole, disposte
in lunghe file ai lati delle strade, la porta d'ingresso immette
nel soggiorno, dietro c'è la cucina e il patio o un cortile,
sul quale si affacciano le stanze da letto. Le case, come le chiese,
sono azzurre o rosa, turchesi o gialle, verdine o glicine.
Man mano il paesaggio cambia, scorrono banani, galline, maiali
scuri, cani, capre, buoi che trainano carri o rudimentali slitte
fatte di due tronchi. Tanti aironi guardabuoi e i "soliti"
avvoltoi roteanti nel cielo. Cominciano a delinearsi i mogotes,
sorta di montarozzi rocciosi coperti di vegetazione che spuntano
dritti e ripidi dalla pianura.
Mi aspettavo molti più fiori
ma la stagione invernale è secca e la vegetazione è
ancora in riposo. Solo alcuni alberi sono fioriti, la loro straordinaria
chioma rossa spicca sul resto di rami ancora senza foglie. E arriviamo
a Viñales, un paese in splendida posizione dove
la vita scorre lenta e regolare, scandita dai ritmi delle stagioni.
Il clima è ideale per la produzione di pregiatissimo tabacco.
Campi e campi di tabacco, disseminati di essiccatoi, divisi da
siepi spontanee, intervallati anche da altre coltivazioni. Qui
c'è abbondanza di tutto, le nostre cene, nelle case particular,
saranno tra le più ricche e varie di tutto il viaggio,
verdura e frutta freschissime: lattuga, pomodori, peperoni, pompelmi
e arance, guayaba dalla polpa rossa, carnosa e un po' pepata,
banane e ananas - buonissimi soprattutto quelli mignon - per accompagnare
l'ottima carne di pollo o maiale ruspanti.
Molte coltivazioni, ma c'è anche abbondanza di zone selvagge,
di parchi e riserve dove si possono fare escursioni, in genere
guidate. Avere una guida, più o meno ufficiale, è
preferibile, sia per le necessarie informazioni su flora e fauna,
ma anche perché i sentieri non sono segnanti e perdersi
sarebbe facile. Durante una di queste escursioni visitiamo una
zona calcarea fortemente fessurata e coperta di vegetazione, abbiamo
visto la rara palma da sughero, felci arboree, termitai abbracciati
ad alti tronchi e strani alberi dal tronco spinoso, altri ospitano
orchidee e decine di piante epifite che si appoggiano sui rami
in attesa di un po' di rugiada e ancora liane e palme e il primo
Tocororo, l'uccello nazionale, con i colori della bandiera.
Nel percorso siamo accompagnati da Lazaro, incontrato per caso,
30-40 anni, sembra più un irlandese che un cubano: piccolo
e magro, capelli rossi, carnagione chiara con lentiggini. Il suo
aspetto è davvero misero, scarpe sventrate e vestiti rattoppati.
Dopo la visita ci accompagna alla sua casa, ci mostra uccellini
canori e tre sfortunati cuccioli di jutia (simile alla nutria)
che tiene in gabbia, catturati per poi mangiarli. Lazaro, povero
ma generoso, prima di salutarci ci regala una ventina di pompelmi
appena scrollati dall'albero.
Ci spostiamo ancora più a ovest, lungo la strada ci sono
vari mucchi di carbone e pennacchi di fumo che escono dalle molte
carbonaie accese. A Maria la Gorda, che doveva essere un
paradiso (palme in riva al mare, vegetazione florida e fondali
tra i più belli di Cuba) arriviamo a pomeriggio avanzato.
Come ci avevano detto, l'uragano Ivan dello scorso anno ha ridotto
proprio male questa zona, all'interno: itinerari naturalistici
chiusi, rami e alberi massacrati con l'80% di foglie in meno -
che in compenso ci ha consentito di avvistare molti uccelli tra
cui il piccolissimo colibrì, e lungo la riva, palme spelacchiate,
conchiglie, coralli e gorgonie spiaggiate. Ciò nonostante,
molto belle sono state l'escursione alla "Grotta delle perle"
e la piacevole nuotata con avvistamento del fondale corallino
pieno di pesci colorati. Ma, data l'ora tardo pomeridiana e l'assenza
di vento, ad aspettarci all'uscita dall'acqua troviamo una miriade
di minuscoli famelici moscerini che ci hanno messo le ali ai piedi
e in un lampo abbiamo lasciato il malconcio "paradiso"
per lanciarci in una lunga corsa di trasferimento verso Trinidad.
Città bellissima e unica,
tranquilla, piena di musica, di fascino, di turisti e di inferriate.
Più che in ogni altro posto visitato, i balconi, tutti,
sono adorni e protetti da grate, le più antiche, che risalgono
al 1700, sono in legno, quelle in ferro invece sono del 1800.
Balconi giganteschi che mettono in mostra l'interno di bellissime
case coloniali, soprattutto al tramonto o in zone ombrose le imposte
vengono aperte e le persone, in questo luogo, un po' casa un po'
strada, si siedono a prendere il fresco.
Anche qui la giornata non basta mai. La mattina a fare escursioni
tra i verdi monti di Topes del Collantes, ricchi di ruscelli e
cascate freddissimi, poi al mare, per qualche ora di sole e nuotate
varie per curiosare tra il ricco fondale, ma ci sono anche da
vedere gli interessanti musei, quello di architettura e quello
civico, la galleria d'arte, i mercatini straripanti di bei ricami
e lavori all'uncinetto, collane di semi, macchinine di carta pesta
e di altri oggetti che non ritroveremo più. Ed è
bello anche perdersi nelle silenziose stradine lastricate, dove
sono più frequenti i cavalli che le auto, e infine, la
sera, alla Casa della Trova per ascoltare musica sorseggiando
un fresco mojito (zucchero di canna, succo di lime, rum bianco,
hierba buena (somiglia alla menta), soda, ghiaccio).
Nel nostro spostamento verso est, dopo Trinidad tutto ritorna
piatto. La pianura è punteggiata da laghi e paludi, dove
vive anche il coccodrillo, ma per il resto tutto sembra una grande
distesa di canna da zucchero, che alla fine dell'inverno e all'inizio
della primavera viene raccolta, infatti per strada si nota un
certo via vai di lavoratori e di camion per il trasporto negli
stabilimenti per la lavorazione. Questi centri di raccolta si
notano anche a distanza per il fumo che esce dagli impianti e
dal profumo dolciastro dell'aria.
Una notte a Camaguey, nel bel mezzo della pianura e della
strada più importante dell'isola. La città è
meno particolare di Trinidad, ma vivace, piena di attività
e di negozi con buona offerta di merci - volendo si trova perfino
la Coca Cola. Famosa per i suoi tinajones, grandi orci di terracotta
dove veniva raccolta l'acqua piovana, ma a me piuttosto rimane
in mente come la città delle biciclette, che sciamano a
frotte su tutte le strade, protagoniste del traffico, a pari merito
con i pedoni e in leggera competizione soltanto con le bici taxi.
Con un'altra lunga tappa arriviamo
a Santiago de Cuba, nella montuosa e impervia costa est.
La città, particolarmente significativa per la storia dell'isola
- fu capitale coloniale prima di l'Havana e da qui partì
la Rivoluzione - è affacciata sul Mare Caraibico, ma all'interno
di una vasta e protettiva insenatura. L'importanza storica traspare
dalla ricchezza delle architetture, dalle poderose fortificazioni
difensive all'ingresso della baia, dai reperti e dall'appassionato
e tragico racconto della guida della Caserma Moncada ora Museo
della Rivoluzione.
Superiamo Guantanamo, della base americana non se ne percepisce
minimamente la presenza, e percorrendo La Farola, una tortuosa
strada di montagna, arriviamo a Baracoa. Dopo l'aspra e
a tratti desertica costa est è un tuffo nel verde, la vegetazione
diventa florida, veramente tropicale, con il clima particolarmente
adatto a caffè e cacao, ma qui, dicono, cresce di tutto.
Fino a pochi decenni fa a Baracoa si arrivava solo via mare, ma
anche ora è decisamente fuori mano, da un lato una impegnativa
strada di montagna e dall'altro una sterrata e piena di buche.
Baracoa è una città piccola, minima direi, con edifici
semplici ma, come sempre, ordinati e puliti. L'unica chiesa è
semidiroccata e in attesa di fondi per il restauro. Eppure nei
primi del 1900 ebbe un periodo florido grazie alla produzione
delle banane, ma poi i banani si ammalarono e arrivò la
crisi.
Fu il primo approdo di Cristoforo Colombo nelle Americhe, di lui
resta una croce, un monumento e il nome dato alla strana montagna
simile ad un incudine, "El Yunque", alle spalle di Baracoa,
inconfondibile riferimento per i marinai provenienti dall'Europa.
Interessante è stato l'incontro
con il responsabile del Museo Civico che ci ha detto: "ritengo
che ne l'America ne Cuba siano state scoperte da Colombo, visto
che qui già risiedevano delle popolazioni, ma in contrapposizione
alla frequente opinione che vede nell'arrivo di Cristoforo Colombo
un momento negativo per l'America, io sono convinto invece che
abbia portato ricchezza culturale e aperto nuove prospettive".
Generoso da parte sua privilegiare questi aspetti positivi, di
altro parere sarebbe certamente stato il capo indio Hatuey, che
fu bruciato vivo per essersi opposto alla dominazione spagnola
e all'annientamento del suo popolo.
Baracoa ci è piaciuta per aver trovato qualche traccia
dei nativi cubani e particolarmente cara ci è per il bel
rapporto avuto con la gente del vicino Rio Yumuri, dove abbiamo
fatto un'escursione accompagnati e coccolati da mezzo villaggio.
Per finire, un ricordo delle mie papille gustative per la sua
cucina, diversa da tutto il resto dell'isola, all'insegna della
noce di cocco: ottimo il pesce al latte di cocco, il cioccolato
al cocco ed il cucuruchos, un dolce di cocco grattugiato e cotto
con miele, papaia o guayaba, pompelmo o arancia e confezionato
in caratteristici coni di foglie di banano.
Note
Il viaggio è stato fatto in Febbraio con pulmino con autista
- conveniente se si è in numero di almeno 5 persone - scelta
rivelatasi ottima sia per il buon rapporto con il "nostro"
autista (Pancho), che per la sua conoscenza di strade e luoghi.
Per il pernottamento, cena e colazione abbiamo scelto la sistemazione
in Case Particular (case private) per avere più contatto
con la gente e dove abbiamo trovato sempre un'ottima accoglienza
e un buon trattamento.