I testi e
le immagini di questa pagina sono protetti dalle leggi italiane
ed internazionali sul diritto d'autore. Ogni riproduzione, traduzione
o adattamento sono proibiti senza l'espressa autorizzazione scritta
dell'Autore.
Copyright Brusegan Maria Grazia
BIHAC-BOSNIA, bello ma
Questa è indubbiamente una primavera ricca d'acqua, forse
troppa?
Difronte alle cascate di Martin Brod non c'è dubbio.
I piccoli, delicati rivoli sono diventati massa straripante, spaventosa;
il muschio è scomparso; anche gli alberi ne sono travolti,
ma sono solidi e per ora resistono alla corrente.
La romantica cascata è diventata una forza scatenata. La
passerella, che collega uno spuntone roccioso proprio in mezzo
al fiume, è paurosamente invitante, sebbene siano pochi
metri, percorrerla, scivolosa ed esposta com'è, è
quasi un'avventura.
Fragore enorme. Vento e goccioline in sospensione bagnano da capo
a piedi. I parapetti sono aleatori. Sopra il tumulto facce tese
o grida euforiche.
La Una è uno dei più bei fiume di Bosnia, spettacolare
e piena d'acqua anche in tempi normali, smeraldina, ideale per
belle discese in gommone o in canoa. Molto pescosa.
Ma il turismo da queste parti si è ridotto molto, anzi
è quasi inesistente. Le guerre certamente non lo favoriscono.
E' Pasqua e siamo gli unici visitatori. Sono passati quasi nove
anni dalla fine degli scontri, ma è un tempo breve e la
situazione bolle ancora. Per le vacanze si preferiscono posti
sicuri e sereni. Eppure la gente sembra tranquilla, la vita normale.
Ma tanti sono ancora i segni inquietanti: troppi i buchi di proiettile
sui muri o gli squarci di granate riparati alla meno peggio, case
incendiate che mostrano interni tragicamente vuoti, neri e lugubri;
molte zone minate (ad oggi il 4% del territorio), segnalate da
eloquenti cartelli; cimiteri con troppe tombe nuove.
E' Pasqua 2004, siamo in 45, partiamo per il nord della Bosnia: Bihac e dintorni. Il viaggio è organizzato da Legambiente Veneto, ma c'è un po' di tutto: romani, marchigiani, piemontesi, veneti, emiliani, friulani. Il progetto, un'azione di turismo responsabile, è vario e interessante: ambiente, architettura, incontri con la gente, e piove. Cinque giorni. Solo a Pasqua c'è stata una tregua, ma, nessuna esitazione e il programma non subisce interruzioni. Per prima cosa sono stati svuotati i negozi, di ombrelli e impermeabili e poi via, agli appuntamenti e a visitare villaggi e fortezze.
E' una
zona dove si è combattuto molto. E' terra di confine da
tanto. Per primi gli Illiri, poi Romani, Bizantini, Slavi, Ungheresi,
Turchi, Austriaci, due guerre mondiali e recentemente la guerra
di separazione: politica ed etnica. Tanta storia, e Bihac ne è
un emblema. Nasce come città-fortezza ungherese nel 1260.
Fu città municipale, cioè indipendente, e capitale
croata. Baluardo contro i turchi, cede quasi per ultima, nel 1592.
Tra il 1992 e il 1995 guerra civile, tre anni di assedio serbo-bosniaco
e croato, con intensi bombardamenti.
Ma tracce ne sono rimaste poche, ogni conquistatore ed ogni guerra
demoliva qualcosa. Ora rimangono solo brandelli di mura e un tratto
di fossato difensivo, i monconi della chiesa medievale di San
Antonio, la moschea (ex chiesa gotica) Fethija (la conquistata),
e un po' di reperti e documenti storici, esposti nella "torre
del capitano" ora museo cantonale. Poco da vedere quindi,
ma piacevole, soprattutto per la vicinanza del fiume e per gli
incontri fatti.
Paola, la nostra esuberante, infaticabile e un po' dispotica guida
e madre (spesso accompagnata dai suoi 3 figli), triestina, trasferitasi
da qualche anno a Bihac.
Branka Raunig, archeologa in pensione, donna piccola e magra,
splendida e gentile, grande e appassionata studiosa dei Giapodi,
abitanti della Bosnia fino all'arrivo dei romani.
I gruppi della Casa della Cultura, che con musica, danze e un
ricchissimo banchetto ci hanno organizzato una calorosissima festa.
I rappresentanti delle tre religioni presenti: mussulmani (il
95%), cattolici e ortodossi. Ci hanno raccontato l'oggi, nessun
cenno al recente passato.
L'Himam ha parlato di un dio unico,
di convivenza, delle limitazioni dell'epoca di Tito, delle regole
religiose per i mussulmani, un po' speciali a dire il vero dal
momento che birra, alcolici e salumi non mancano mai.
Dal frate Francescano e dal suo collaboratore invece traspariva
un senso di appartenenza più forte, forse per effetto della
condizione di minoranza. In chiesa una lapide ricorda i caduti
dell'ultima guerra.
Il più ieratico e sereno mi è sembrato il giovane
Pope ortodosso, magari favorito dal rito pasquale, che quest'anno
coincideva con la Pasqua cattolica, ricorrenza che abbiamo festeggiato
nella piccolissima comunità serbo-ortodossa di Martin
Brod, il villaggio dei cento mulini (e un allevamento di trote).
Per arrivare superiamo un passo, non alto, ma nevica, e poi giù,
tra boschi e piccoli villaggi, l'ultimo tratto è di strada
bianca, semi allagata dal fiume in piena.
Siamo arrivati a messa
già cominciata, nella piccola chiesa di Sveti Nikola, molto
bella e accogliente, piena di immagini sacre. A fine cerimonia,
con il pezzettino di pane della comunione, viene donato un uovo
sodo colorato.
Poi il pranzo, preparato da alcune donne del villaggio, nella
casa del Pope: agnello allo spiedo, focacce (pite) salate, uova,
vino e ottima grappa (rakija).
E il pomeriggio in giro per il paese, "un paese acquatico".
Sarà questa loro convivenza che li rende così tranquilli
davanti al rischio inondazione? La rete di canali e condotti è
intricatissima. E' probabile che i mulini siano proprio 100, ce
ne sono ovunque. Con l'acqua corrente si fa anche il bucato: in
una sorta di lavatrice, fatta con assicelle di legno un po' distanziate
tra di loro, viene convogliata l'acqua e regolandone la potenza
si possono fare lavaggi forti o delicati.
Nonostante fosse festa, in giro
non c'era pressochè nessuno, neanche i bambini, la gente
stava in casa e qualche uomo all'unico bar.
Ogni giorno uno spostamento, ma le nuvole basse non hanno certo favorito i panorami, a brandelli si è capito che è una terra di boschi (faggi e querce), di agricoltura tradizionale e di pastorizia, di piccoli villaggi isolati, con attorno sia i campi che i pascoli.
Terra di confine appunto, contesa, presa
e persa, per secoli cattolica e poi mussulmana (i turchi rimangono
fino alla metà del XIX secolo), tanti massacri e deportazioni.
Ora è presidiata da truppe canadesi per garantire l'ordine
e il graduale ritorno dei profughi.
Tante le fortezze, spesso ridotte a ruderi. Progetti di recupero?
Tutto si è interrotto, mancano i soldi. Speranze vengono
riposte nella cooperazione internazionale.
Ne abbiamo visitato alcune: Velika Kladusa (prima citazione
del 1280). Il castello è stato recentemente ristrutturato
e con un interessante recupero è diventato albergo, ben
arredato e potenzialmente funzionante, ma assolutamente vuoto.
Sokolac e Ostrozac, alte sulle loro rupi dalle pareti
ripide, in rovina, ma piene di tetra suggestione.
Ostrovica,
abbastanza ben conservata, ma bisognosa di immediate cure. Un
tempo possesso della più famosa e potente famigli di duchi
croati, decisi nemici dei turchi. Rimaneggiata varie volte e abitata
fino a pochi decenni fa, ma ora completamente svuotata, con il
tetto sfondato e con pericolose infiltrazioni d'acqua.
Lasciamo
la Bosnia che ancora piove, la situazione è peggiorata
ed è stato dichiarato lo "stato di calamità
naturale", case e campi allagati, proprio quello che ci vuole
per una situazione già precaria.
Torniamo, un po' più consapevoli, un po' più spaesati.
Non è certo mancato il comfort e il cibo, ne' troppa è
stata la fatica o il pericolo, ma non è stato un viaggio
ne facile, ne divertente, ma necessario, per capire meglio e per
testimoniare che le scelte di guerra sono devastanti, sia durante
che dopo, e che la pace è anche una necessità di
benessere.
Approfondimenti e informazioni:
· Sito web: Osservatorio sui Balcani http://auth.unimondo.org
· Letture: E' Oriente di Paolo Rumiz - 2003 I Narratori,
Feltrinelli
Il ponte sulla Drina di Ivo Andric (premio Nobel) - 1960 Oscar
Mondadori