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Copyright Brusegan Maria
Grazia
La buena suerte del viaggio
in ARGENTINA, BOLIVIA E CILE
prima parte: Argentina
Un po' si dorme un po' si veglia nella
lunga notte verso l'Argentina. Ad ogni risveglio l'abbaglio di
una strepitosa luna piena che inonda di luce lo spazio.
Sotto di noi un leggero strato di nubi, sembra un campo appena
arato. Tra un solco e l'altro luccica l'oceano. Poi compare la
costa e piccoli grumi di luci dorate, sperduti in un vastissimo
nero che rivelano la presenza di piccoli paesi. Riprendono le
nubi, due fasce scure sopra e sotto di noi. E l'aereo fila in
mezzo, nello stretto corridoio di luminosa luce azzurra. In alto
ancora la luna, come un fantastico faro.
Ormai è l'alba e ora tutto è perfettamente nitido
e ben visibile. Sorvoliamo una zona di basse montagne che, come
le nubi prima, sono disposte in regolari file parallele. Non ci
sono ne case, ne fiumi, ma tanto verde e rare rocce. Ora si, un
grande fiume, dilagato su una vasta area. Poi campi ben squadrati
dalle tante sfumature di verde o altri marron con le venature
del marmo. Ghirigori di alberi, tasselli di bosco dai contorni
geometrici. Piccoli fiumi sinuosi. Siepi. Pianura ed enormi praterie,
pochi alberi, tutto è verde.
Una rada trama di sottili fili rettilinei collega case isolate,
città isolate, sperdute isole di umanità.
Ancora mare? No, questo è l'enorme Rio de la Plata
dall'acqua color paglia che si interpone tra Uruguay e Argentina.
Ed ecco Buenos Aires, enorme. Non è il momento di
visitarla, le notizie allarmanti sulla situazione sociale ed economica
del paese ci tengono fuori da questa grande città con il
suo carico di tensioni. Partiamo subito per Salta, un importante
centro del nord, che ci cattura e affascina con la sua atmosfera
coloniale. Il nord è l'Argentina delle origini, qui la
popolazione è in maggior parte india e meticcia. Gli Spagnoli
hanno avuto grosse difficoltà ad assoggettare queste popolazioni
che si sono arrese solo dopo lunghi anni di resistenza. Oggi qui
la vita appare serena e i pericoli della grande metropoli sembrano
lontani. Ci muoviamo in tutta tranquillità.
Salta fu fondata dagli spagnoli nel 1582 per sfruttare il clima
favorevole all'agricoltura ma anche per sviluppare scambi commerciali
con i centri minerari degli altopiani Boliviani. Ora è
l'ideale punto di partenza per spettacolari circuiti su vertiginose
strade di montagna o nelle vicine zone pre amazzoniche.
La struttura della città è molto semplice, i quartieri
sono divisi in "quadre" e tutto ha un aspetto molto
geometrico. Anche il traffico è ordinato e raramente si
sente suonare il clacson. Le strade hanno pochissima segnaletica,
in genere sono a senso unico e agli incroci apparentemente vige
la regola che chi arriva prima passa.
Il centro è proprio bello, con una grande piazza ombrosa,
bei palazzi storici, chiese opulente, portici, cortili interni
ed un vivacissimo mercato coperto dove si possono anche mangiare
gustose specialità: empanadas (pasta variamente
ripiena) al forno o fritte, tamales e humitas mais
e carne avvolti in foglie di granturco e lessati.
Ci piace tutto: i caffè dove si fanno ricche colazioni,
i ristoranti che servono carne favolosa, l'artigianato di legno,
ceramica, fibra di chaguar (simile alla yucca), semi e
naturalmente sofficissima lana. Ma ci sono anche altre particolarità:
banche che non cambiano valuta, operazione che si può fare
più facilmente al bar con degli operatori di cambio semi-ufficiali
che provvisti di valigette piene di soldi cambiano disinvoltamente
qualsiasi cifra. Ma attenzione, perché questo paese ha
molte monete: la nazionale, le regionali e almeno un altro paio
valido solo in questa città e dintorni.
Dopo aver fatto un po' di scorte ci spostiamo verso sud. Non è
difficile trovare piccoli negozietti provvisti di tutto quello
che serve: pane, bevande, verdura e formaggio ma qualche scorta
conviene averla dato che i centri abitati non sono molto frequenti
e anche per il carburante quando c'è l'occasione conviene
sempre fare il pieno.
Non lontano, verso sud, CAFAYATE circondata da giganteschi
vigneti. Visitiamo alcune bodegas (cantine), le più
grandi e famose producono fiumi di vino. Bodega Etchart: 4 milioni
di litri/anno. Il vino più prezioso viene lasciato invecchiare
18 mesi in botti di rovere (le botti arrivano dalla Francia) e
2 anni in bottiglia. Si tratta di un vino forte dal grado alcolico
alto, adatto a lunghi invecchiamenti. Tra i tanti assaggi abbiamo
preferito il bianco torrontés dal colore giallo
dorato e dal sapore fruttato. Una vera squisitezza poi è
il gelato di vino sia bianco che rosso, inventato dal proprietario
della Heladeria Miranda. Inebriati e felici lasciamo la pianura
e ci alziamo lungo la Valle di CALCHAQUIES, uno vero scrigno
di bellezze. La strada segue tutte le pieghe dei monti e si snoda
in un numero infinito di curve. La valle, dapprima verde e molto
fertile, via via che si sale diventa sempre più arida,
fino a prendere le caratteristiche di un deserto. Alti cactus
Cardon (crescono 1 cm l'anno) con la tipica forma "a candelabro"
e radi rinsecchiti cespugli di cortadera (tradizionalmente
usata come copertura delle case) sono le uniche piante. Per la
protezione di questa flora e della relativa fauna - tra cui le
rare vigogne e l'altrettanto raro cervo taruca - è
stato istituito il Parco Nazionale LOS CARDONES.
Salendo anche il cielo si trasforma, opaco e lattiginoso in fondovalle,
azzurro e terso in alto.
La strada è sterrata, si procede lentamente, ideale per
osservare un sacco di cose: gruppi di verdi pappagallini con il
loro volo giocoso e ondeggiante, una bottega di oggetti in legno
di cardon, alcuni tessitori con il loro laboratorio all'aperto.
Tessono lunghi teli di lana, neri e rossi che diventeranno ponchos
con i colori di Salta.
Tra i tanti pueblos della vallata
CACHI è il più caratteristico.
Risale al periodo preispanico. E' a quota a 2200 metri e sullo
sfondo c'è l'omonimo Nevado di 6720 metri con la cima innevata.
Anche qui un piccolo e interessante museo archeologico con panciuti
vasi di terracotta luccicante di mica.
Il pomeriggio è ormai alla fine e la luce del tramonto
accentua il rosso dei monti circostanti. Solo suoni di vento e
di uccelli. Ne voci ne rumori, la gente esce soprattutto di mattina
e l'economia, prevalentemente agricola, si svolge con sistemi
tradizionali.
Il mattino dopo nuovi paesaggi. Ora ci infiliamo nella QUEBRADA
DE LAS FLECHAS una stretta gola arida e rossa, con pinnacoli
dalle strane forme e con le tracce di antichissimi fiumi ormai
prosciugati. Tira un vento fortissimo e l'aria è velata
di sabbia che frusta la pelle. Anche tenere gli occhi aperti è
una sofferenza e così la macchina diventa un confortevole
rifugio. Fuori è un inferno. Un venditore di artigianato
- in un posto assurdamente lontano da tutto - ha la bancarella
sommersa di polvere e lui, in attesa di rari e improbabili acquirenti,
tenta un rifugio dietro ad una roccia.
Contrariamente la VALLE ENCANTADA è immersa in una
staticità che sembra frutto di un sortilegio. Assoluto
silenzio, ossa sbiancate dalle intemperie, nebbie sinistre, un
verde irreale, greggi semi brade. Un paio di cani scheletriti
e docili ci avvicina e ci accompagna nella passeggiata, desiderosi
di carezze e avidi di cibo.
Numerosissime sono anche le tracce del passato e vari i siti da
visitare. A SANTA ROSA DE TASTIL, 3100 mt, sopra la cima
di un morro (monte) ci sono le rovine di un importante
centro preispanico sulla rotta di importanti commerci tra la puna
e le valli. L'aria è sottile e fresca, l'orizzonte spazioso,
il posto strategico. Tra il 1360 e il 1440 d.C. era abitato da
più di 2000 persone. Rimangono solo le basi degli edifici.
440 abitazioni vicine, vicine. Cinque le piazze, ma nessun vicolo,
nessuna strada e ciò fa suppone che si camminasse sui muri
e si accedesse alle case da aperture poste sul tetto. Gran parte
dei ritrovamenti sono al Museo di Salta ma parecchi oggetti si
possono vedere anche in quello minuscolo e piacevole del vicino
pueblo (villaggio). Particolari e curiose le intonatissime
"pietre che suonano", simili ad un primitivo xilofono.
Fuori dal museo un affettuoso candido lama addomesticato, innamoratosi
di una nostra amica non ha temuto di infilare la testa nell'auto
per un ultimo appassionato bacetto.
QUILMES invece era giu nella valle, addossata alle colline.
La zona era fertile e gli indios Quilmes ancor prima del 1000
coltivavano mais e allevavano lama. Mura possenti, ma non abbastanza
per gli spagnoli, che al loro arrivo vollero sottomettere gli
abitanti, ma loro combatterono per 130 anni. Alla fine, stremati,
furono deportati a più di 1000 chilometri a sud per fondare
Buenos Aires. Nel piccolo museo varie urne funerarie in cui venivano
raccolte le ossa dei defunti. Queste urne, simili ad un'anfora
con il collo molto largo, venivano decorate con motivi stilizzati
raffiguranti animali sacri.
Pitture rupestri invece si vedono a GUACHIPAS. In una bella
vallata adatta al pascolo e forse anche a riti religiosi un grande
numero di caverne e di anfratti rocciosi sono stati dipinti con
figure colorate di rosso, nero e bianco. Dal carattere delle scene
si presume che gli artisti fossero pastori e anche sacerdoti.
Sono raffigurati lama, nandù, guerrieri e danzatori simili
a farfalle.
Finita la visita si va a casa di
Daniel, l'amico autista, che ha voluto farci conoscere moglie
e figlia, ma anche le 3 sorelle e 1 fratello della moglie, 2 nipotine,
2 cani, 1 gatto. Ospiti per un giorno, siamo stati accolti con
calore e familiarità in una casa tipica, adatta a più
famiglie: cucina e bagno in comune e varie stanze da letto attorno
ad un vasto cortile interno con portico, fontana, lavatoio e forni.
Dopo i saluti, vari giri di mate, la bevanda nazionale. L'infuso
di yerba (ilex paraguanensis) servito nel mate, il tipico contenitore
- zucca o legno scavato - sorbito con l'altrettanto tipica bombilla,
è simbolo di amicizia e di benvenuto. Questa abitudine
si sta trasformando e almeno nei bar viene servito, in maniera
più sbrigativa e magari più igienica ma sicuramente
più banale, con le normalissime bustine filtro, ma il gusto
non somiglia minimamente a quello preparato tradizionalmente e
passato di mano in mano come nella casa di Daniel. Da qui riprenderemo
il viaggio verso la Bolivia, ma non prima di aver assaggiato la
buonissima carne, speziata con cumino e aglio, cotta nei tipici
forni di terra a forma di cupola che ritroveremo spesso durante
il viaggio di questa meravigliosa parte di mondo.
La buena suerte del viaggio
in ARGENTINA, BOLIVIA E CILE
seconda parte: Bolivia
150 chilometri ci separano dal confine
Boliviano. Il primo tratto è boscoso, alcuni alberi hanno
fiammeggianti fiori rossi, altri sono drappeggiati da liane con
solari fiori gialli. Spesso i tronchi ospitano altre piante, felci
o orchidee che si esibiscono in grandi ciuffi di foglie e fiori
paglierini.
La ruta de la Cornisa sale stretta e tortuosa fino alla
Quebrada di HUMAHUACA scavata dal Rio Grande. Il
paesaggio ora si apre, ora si chiude nelle strettoie della valle.
La vegetazione si dirada gradatamente, poi resta solo una stretta
fascia verde lungo il fiume su cui svettano filari di pioppi cipressini
e monumentali salici piangenti. I campi, piccoli e ben curati,
sono circondati da canali di irrigazione e da siepi. E' primavera
ed è già tutto verde ma la vera ripresa vegetativa
ci sarà all'arrivo della tanto attesa stagione delle piogge.
Per il resto solo bassi arbusti, erbe giallastre e cactus. Terra
e roccia sono le protagoniste, ormai siamo entrati nel vasto territorio
desertico degli altipiani andini, un viaggio nel colore. La terra
è ricchissima di minerali e i fianchi dei monti sono incredibilmente
variopinti. Il più spettacolare di tutti il Cerro de
los sietes colores.
Si susseguono caratteristici villaggi con le case di adobe (mattoni
di fango cotti al sole) e il tetto di paglia e fango. MAIMARA'
è uno dei più tipici, le grandi fasce orizzontali
rosse gialle arancione marron viola della Paleta del pintor
come sfondo e in bella vista il fantasmagorico cimitero multicolore.
ABRA PAMPA. 3000 metri, aria fresca e rarefatta, quattro
case e una rara e preziosa pompa di benzina.
Per la notte usciamo dal tragitto principale per raggiungere YAVI
con l'intenzione di montare le tende nel campeggio del paese,
ma l'accogliente ostello ci fa velocemente cambiare idea. Anche
YAVI, come gli altri paesi, al pomeriggio sembra deserto. Uniche
presenze umane i militari del posto di polizia. Non si trova neanche
la custode per visitare la chiesa di San Francesco (XVII sec.),
ma intanto, poco fuori dal paese, sulla direttrice di un antico
percorso, visitiamo interessanti incisioni rupestri. Il luogo
è bellissimo, ampio, in lontananza alte montagne con la
cima innevata. Camminiamo in mezzo alla thola, un
arbusto basso, simile alla ginestra, molto resinoso dall'odore
di tamerici, usato per far fuoco, c'è anche qualche fiore
simile ai crochi e spinose piante grasse coperte di coloratissimi
fiori. Nella valletta un laghetto e un piccolo gruppo di lama
che sta placidamente pascolando. Sono gli stessi animali raffigurati
nei graffiti, ma ci sono anche vipere, uomini con copricapi piumati,
mappe, condor, segni rituali.
Gironzolando per il paese, capitiamo in piazza dove facciamo la
conoscenza di Enrico un ragazzo che costruisce adobe. I mattoni
vengono fatti e messi a seccare proprio sul pavimento della piazza,
una volta secchi Enrico li trasporta con una carriola all'interno
di un magazzino. Ci fermiamo a parlare, noi a chiedergli del suo
lavoro, lui è curioso della nostra vita. Dice di essere
così povero da non potersi permettere neanche il breve
viaggio fino alla città più vicina. La sua sensibilità
e la sua acutezza ci amareggiano, il suo è un futuro di
miseria senza prospettive, mediato forse dalla grande fede che
dice di avere. Situazioni di questo tipo sono la regola, l'area
è molto povera, le risorse naturali, ad esclusione di quelle
minerarie, sono scarsissime: pastorizia e stentate coltivazioni.
La miseria è evidentissima a LA QUIACA-VILLAZON, frontiera
tra Argentina e Bolivia, dove si svolge il comercio de hormigos
(commercio delle formiche). Un numero incredibile di donne e uomini,
a piedi, in fila, schiacciati da enormi e pesantissimi carichi,
passano ripetutamente la frontiera. Un sistema che consente il
trasferimento di merci senza grandi controlli e formalità.
Quindi, superati circa 200 mt a piedi, il materiale viene prontamente
caricato su camioncini.
Per noi invece poca fatica ma lunghi tempi di attesa per completare
intricatissime pratiche burocratiche nei vari uffici doganali.
E dopo due ore ci "lanciamo" verso TUPIZA. Le
case si diradano fino a sparire completamente. La strada è
sterrata ma abbastanza buona e si può correre velocemente.
Ogni tanto una sbarra blocca la strada, si mostrano i documenti
si paga il pedaggio e poi via verso il prossimo posto di blocco
o una possibile foratura. Infatti, forse a causa della veloce
andatura su un fondo stradale pieno di sassi abbiamo forato. Un
fatto banale, ma qui comporta un po' di apprensione dovuta alla
distanza tra i centri abitati e alla possibilità di eseguire
la riparazione. Ma l'episodio si concluderà felicemente
a Tupiza dove un provetto riparatore di circa 10-12 anni maneggiando
la ruota come fosse un giocattolo e a fronte di una cifra di circa
1/2 dollaro nel giro di mezzora ci ha risolto il problema.
Tupiza. 20.000 abitanti, capoluogo di regione, 3000 metri
di quota, atmosfera serena. Ci fermiamo due giorni e alla fine
ci muoviamo disinvoltamente tra i vari mercati, la piazza, i negozi
e le quadre. I dintorni poi, sono davvero particolari tanto che
la zona è considerata una delle più belle della
Bolivia. La particolarità sono i fenomeni erosivi delle
formazioni "a pinna", nelle Quebrade Palmira,
Palala, ci sono le più belle. Rossi e verticali
torrioni "mallos" o sottili e alte quinte rocciose
"pinne" sono formati da agglomerati di sassi
di varie dimensioni. Sui loro dritti fianchi, che resisteranno
in piedi fin tanto che acqua e vento lo consentiranno, fitte popolazioni
di tillandsia, piccole piantine resistentissime alla siccità.
Alle 7.30 partiamo, il cielo, con ancora le tracce della notte,
è privo di nubi, ma fra poco il sole, superata la montagna,
sarà forte e abbagliante come ieri e come domani.
Appena fuori città ci si sente sperduti, unico filo conduttore
la pista e lo sconcerto è grande quando si arriva ad un
bivio. I cartelli sono inesistenti e si è fortunati quando
dal niente sbuca qualcuno a cui chiedere la via, oppure ci si
affida all'istinto magari scegliendo la pista più battuta.
E la precarietà aumenta quando a San Miguel, un
microscopico villaggio, incappiamo in un incidente tra una jeep
e un camion. Nessuna possibilità di passare, i due automezzi
sono in mezzo alla strada, il camion ha l'asse delle ruote davanti
completante scardinato e la jeep è incastrata tra due alberi.
C'è anche un ferito, ma i soccorsi ospedalieri non arrivano
fino a li e quindi cercano un passaggio per l'infortunato. C'è
molta agitazione, poi uno dei rari automezzi di passaggio carica
il ferito verso l'ospedale di Tupiza. Per poter proseguire dobbiamo
fare una lunga deviazione sull'ampio greto del torrente. Ripresa
la pista principale cominciamo a salire, salire fin sulla cresta
dei monti, straordinario il continuo cambiare dei paesaggi. In
cielo i primi condor volteggiano lenti e maestosi. 3700 metri.
Da questa strada nel cielo si domina un orizzonte enorme, incessantemente
scorrono valli e lontane montagne. Per ore non incrociamo nessuno,
poi un camion, più avanti una casa e una famiglia di pastori,
ci confermano di essere sulla strada giusta. Come faranno a vivere
in tali condizioni? attorno niente se non terra, sassi e qualche
arbusto rinsecchito, una corriera una volta la settimana.
Ad una deviazione proviamo, porta ad una miniera. Ci viene incontro
un uomo, chiede notizie e giornali.
Eccoci ad ATOCHA una cittadina mineraria in un buco della
valle. Per arrivarci si corre nel greto del fiume, con la stagione
delle piogge qua non si arriva. Nel rigagnolo d'acqua c'è
di tutto: sacchetti di nylon, bottiglie di plastica, rifiuti vari
e gli scoli delle fognature, il colore e l'odore sono pessimi.
Sul paese incombe anche una gigantesca piattaforma di detriti
minerari. Un posto veramente infelice, anche il pranzo è
stato indecente.
Per finire la giornata, prima di arrivare ad UYUNI, ci siamo insabbiati
in una duna che il vento aveva piazzato nel bel mezzo della pista.
Dopo un buon lavoro di scavo, che a quelle quote lascia senza
fiato, quasi al tramonto ripartiamo. In 9 ore abbiamo percorso
circa 200 km, dovremmo esserci!
Con molto anticipo la città si preannuncia con uno svolazzare
di bianchi sacchetti di nylon che trasportati dal vento incessante
si vanno ad impigliare nella bassa vegetazione. Il sole radente
illumina questi strani fiori lucenti.
A UYUNI una sorpresa, un festival di danze e musica folcloristica.
Il palazzetto dello sport è straripante, famiglie intere
compresi i cani. Siamo gli unici europei. Tantissimi gruppi si
susseguono nello spettacolo, sono tutti molto giovani e con grande
entusiasmo si esibiscono davanti ad un pubblico caloroso.
Città isolate si, ma mode e novità ormai arrivano
ovunque. Ecco quindi ragazze vestite all'occidentale e con capelli
dai ciuffi viola o rossi e naturalmente internet dove si può
cliccare per pochi soldi.
In città facciamo scorte per i 4/5 giorni che staremo nel
deserto. Prima di ripartire dobbiamo farci registrare al posto
di polizia che nonostante sia a 200 km dal confine funge anche
da frontiera ed è qui che ci rilasceranno il visto d'uscita.
A 20 km COLCHANI. Una stazione ferroviaria, mucchi di sale
e un piccolo impianto per la raffinazione e finalmente il salar.
12.000 km quadrati di sale.
Una enorme distesa
bianca e abbagliante come un campo di neve, assolutamente piatta
e priva di ostacoli per cui non c'è una vera e propria
pista da seguire, unica insidia i rari "ojos del salar",
polle di acqua affioranti in superficie.
In mezzo a tanto bianco la macchia scura dell'Isla Incahuasi
o Isla de Pecadores. Un mucchio di rocce vulcaniche e una
selva di cactus. Dalla cima si intuisce a malapena il limite del
salar, contornato da lontani monti. La gran parte di questi sono
vulcani spenti ed è ad uno di questi che puntiamo,
il Tunupa,
dalla sommità straordinariamente colorata di rosso giallo
arancio. Ci viene indicato che lungo il tragitto troveremo anche
la caverna della mummia, e c'è davvero. La caverna è
ampia e luminosa sul fondo vasi e oggetti di uso comune, offerte
a Pachamama (la divinità della terra). Addossati
alla parete alcuni corpi accovacciati con pelle, capelli e vestiti.
Il clima secco e le temperature rigide consentono la conservazione
di corpi per migliaia di anni. Sono frequenti ritrovamenti di
questo tipo anche su cime di 6/7000 metri, monti sacri dove si
compivano cerimonie rituali che prevedevano sacrifici umani. Questo
particolare settore di ricerche archeologiche di alta montagna
è in fase di sviluppo, tecniche e ritrovamenti sono ben
esposte nel museo antropologico di Salta.
La salita al Tunupa (5432 mt) è faticosa, la respirazione
sempre più difficile, ma il richiamo del vulcano è
forte e si va avanti. Alla base si vedono tracce umane, muretti
a secco, piccole coltivazioni, lama al pascolo, erbe bruciate,
ma la solitudine è totale. Fiori coloratissimi simili a
gigli, saltellanti viscachas, qualche uccello e massi coperti
di llareta - pianta protetta - un muschio compattissimo
e duro come pietra, dal forte odore di resina. Ancora avanti.
Qualcuno rinuncia. Improvvisamente la vegetazione finisce, inizia
la lava, comincia anche il vento e il fianco si impenna. Salire
equivale a tre passi avanti e due indietro. E' tardi, bisogna
tornare, prima di sera dobbiamo raggiungere San Juan.
Il paesaggio è sempre grandioso e suggestivo. Vento e polvere,
piste che si intrecciano. Davanti a noi alcuni provvidenziali
motociclisti con il loro polverone ci segnano la strada e prima
di notte arriviamo a San Juan, famoso per la coltivazione della
quinoa (un cereale molto proteico), microscopico paese
che sta lentamente crescendo per effetto del turismo. Un piccolo
negozio, una stazione radio, un ragazzo ha improvvisato un lavaggio
auto per togliere la crosta di sale accumulata nella traversata
del salar e da poco si trova anche carburante in bidone.
Le bellezze del paesaggio crescono ogni giorno. Questa sarà
la tappa più bella: cielo e deserto, vulcani e lagune:
Chiguana, Canapa, Hedionda, Char Kota,
Ramadidas, Colorada, Verde ognuna con una
colorazione diversa,
su
tutte colonie di fenicotteri
in continua ricerca di cibo. E le fumarole del vulcano Ollague
e
l'albero di pietra
del deserto Siloli e luminosi ciuffi d'erba simili a colbacchi
e gruppetti di curiose vigogne che si allontanano in una nuvola
di polvere. E, a 4000 metri, nella pozza calda della Laguna
Verde il più fantastico bagno termale che si possa
immaginare.
Puna uno
degli altipiani più alti del mondo, tanto bella e tanto
inospitale.
Un vento insistente, nuvole di sabbia e freddo intenso ci fanno
rinunciare ad una notte in tenda in questo favoloso ambiente.
Eccoci al confine, l'unico edificio è avvolto nella tempesta
di sabbia, senza sbarre e senza difficoltà superiamo il
confine, siamo in Cile... ed è già rimpianto.
La buena suerte del viaggio
in ARGENTINA, BOLIVIA E CILE
terza parte:Cile
Confine. Due cartelli: Bolivia da una
parte Cile dall'altra. La terra, le pietre, le montagne sono uguali
sia da una parte sia dall'altra. Ma tra i due paesi non corre
buon sangue e pare che i confini siano addirittura minati. Ma
sarà vero? La terra sembra così innocua, non può
celare simili insidie! ma ce ne guardiamo bene dal verificarlo.
Insomma, la differenza più vistosa è la strada,
sterrata polverosa sconnessa quella Boliviana, asfaltata liscia
regolare quella Cilena, e in più si scende.
Dal confine è tutta una discesa verso i 2400 metri della
conca del Deserto di Atacama, il posto più arido
del pianeta! Si dice che in certe zone non sia mai piovuto e che
in altre sia successo due o tre volte in un secolo, ma quando
succede, anche una semplice pioggia scatena una fantastica fioritura
e
"...... Ricordo che mi addormentai
stanco di osservare le migliaia e migliaia di stelle che illuminavano
la notte del deserto, e all'alba del 31 marzo il mio amico mi
scosse per svegliarmi. I sacchi a pelo erano fradici. Gli chiesi
se aveva piovuto e Fredy rispose di si, che aveva piovuto come
quasi ogni 31 marzo nell'Atacama. Quando mi tirai su, vidi che
il deserto era rosso, intensamente rosso, coperto di minuscoli
fiori color sangue. - Eccole. Sono le rose del deserto, le rose
di Atacama. Le piante sono sempre li, sotto la terra salata. Le
hanno viste gli antichi indios atacama, e poi gli inca, i conquistatori
spagnoli, i soldati della guerra del Pacifico *, gli operai del
salnitro. Sono sempre li e fioriscono una volta l'anno. A mezzogiorno
il sole le avrà già calcinate......"
(da Le rose di Atacama di Luis Sepulveda).
* Conflitto del 1879-83
tra Cile da una parte e Perù e Bolivia dall'altra per il
possesso di territori ricchi di minerali. In questo conflitto
la Bolivia perse l'accesso la mare.
Non siamo stati tanto fortunati da poter
assistere alla fioritura di quelle "speciali rose",
ma qualcosa doveva essere successo perché alcune zone erano
coperte da un tappeto di fiorellini rossissimi, altre invece da
lontano sembravano praterie mentre da vicino erano ricoperte soltanto
da una rada peluria verde
A dominare la scena il vulcano Licancabur, 5916 metri, il più
bello, il più regale, ripido e scostante.
Alla fine della discesa, San Pedro de Atacama, oasi e frontiera.
Prima di entrare in paese si deve passare per la dogana. Un controllo
vero, totale. E' stato visionato tutto, bagaglio comune e bagaglio
personale, la macchina è stata svuotata completamente ed
ispezionata in ogni sua parte, e per ultimo una bella disinfettata
esterna.
I doganieri oltre a cercare accuratamente eventuale droga (le
foglie di coca sono facilmente reperibili in Bolivia e vengono
usate regolarmente dai locali per sopportare meglio le fatiche,
la quota e vincere il senso di fame), non consentono l'importazione
di carne, formaggi e verdura. Alla fine dei controlli abbiamo
dovuto rinunciare a patate e cipolle avanzi delle preziose scorte
per l'altopiano boliviano.
San Pedro de Atacama era piena di turisti, e dopo l'isolamento
dei giorni precedenti questo frastornava un po'. In pochi anni
la piccola oasi sta "pericolosamente" diventando un
importante centro turistico per le tante attrattive della zona.
Ci sono già molti negozi, ristoranti, case di cambio, alberghetti,
agenzie di viaggio, oltre a progetti di nuove costruzioni che
potrebbero cambiare il volto ad un paese ancora molto tipico,
ben integrato nell'ambiente, costruito tutto in mattoni crudi
intonacati con terra rossa. Le strade sono strette e sterrate
(l'asfalto finisce proprio all'ingresso della città).
Una volta fatte le visite di rito - chiesa e museo - ci si trova
a girovagare senza meta per godere del verde e della serena atmosfera
dell'oasi che viene protetta e contesa al deserto per mezzo di
muri di argilla, siepi spinose e filari di alberi, ma nonostante
gli sforzi è facile vedere steccati e vegetazione coperti
da mucchi di sabbia. La piazza principale è alberata e
circondata da edifici e da portici. Alcune di queste case sono
tra le più vecchie del villaggio con caratteristiche porte
incaiche a forma trapezoidale. Anche
la Chiesa di San Pedro del XVII secolo è molto interessante.
Costruita nelle forme e con i sistemi tradizionali è circondata
da un massiccio muro di cinta. L'interno è a navata singola
con vari altari, il tetto è sostenuto da grossi travi contorti
e legno di cactus cardon e ricoperto di argilla. In queste chiese
stupiscono particolarmente le statue dei santi che sono sempre
riccamente vestite.
L'altra visita da fare è il Museo Archeologico Le
Paige dove è sintetizzata la storia della regione.
Moltissimi reperti legati alle vicende umane, dal paleolitico,
alle influenze delle culture tiwanaku e inca, fino alla conquista
degli spagnoli: punte di frecce, monili d'oro, tecniche e attrezzatura
per l'inalazione di allucinogeni, le belle ceramiche nere della
cultura di San Pedro, la ricostruzione di una tomba, mummie e
crani deformati in segno di prestigio sociale, per arrivare alle
campane, alle spade e ai libri dei colonizzatori spagnoli. Ma
ci sono anche le sale dedicate alla geologia, all'ambiente, alla
vegetazione, alla fauna.
E scopriamo che nel 3500 a. C. inizia l'allevamento del lama,
che viene utilizzato anche per il trasporto. Da allora fino ad
oggi questo animale è un simbolo e certamente sostegno
dell'economia andina, una presenza costante sia negli antichi
graffiti che nelle pitture rupestri di tutta l'area, sia nei negozi
e mercati dove di possono acquistare caldi e soffici maglioni,
berretti, guanti, calzettoni, poncho nei classici colori naturali.
Ancora lama nelle cartoline e nei pannelli ricordo di legno o
di lana. Ne è pieno il paesaggio dove lo si vede pascolare
in piccoli gruppi e viene utilizzato anche come elemento folcloristico
nei vari siti visitabili.
Un giro al ricco mercato artigianale per l'acquisto di un ricordo
possibilmente piccolo, infrangibile e leggero conclude la visita.
E' ora di uscire dalle piacevolezze di San Pedro e affrontare
i desertici dintorni dovuti alla barriera dei monti che blocca
le perturbazioni oceaniche per cui questa terra resta incredibilmente
arida, ma ricca di minerali e di spettacolari forme erosive.
A pochi chilometri c'è CALAMA, nel bel mezzo della
piana, ben altra cosa da San Pedro. La città, rigorosamente
impostata sulla perpendicolarità delle strade, è
nata e vive in funzione della miniera di CHUQUICAMATA,
la miniera di rame a cielo aperto più grande del mondo.
Un camion trasporta gigantesche ruote per gli altrettanto giganteschi
camion in servizio alla miniera. Molte le macchine parcheggiate.
E' domenica e non c'è movimento, caldo e polvere, cani
che vagano senza meta. Fuori dal compatto nucleo di case solo
cespugli stecchiti. Sembra una condizione di vita assurda, compensata
però da buone paghe, tanto che poter lavorare qui per molti
cileni è un sogno.
Ma lo spettacolo è dietro l'angolo, ci stiamo già
arrampicando nella CORDILLERA DE SAL verso la VALLE
DELLA LUNA, una zona di straordinari effetti erosivi dovuti
al vento e alla forza abrasiva della sabbia. Lo scenario cambia
ad ogni curva. Il momento migliore è il tramonto per i
giochi di luce e le intense colorazioni che prendono le profonde
forre, i torrioni e i ripidi pendii. Un paesaggio lunare, arido,
cosparso di buchi, costruzioni rocciose e dune di sale. La relativa
vicinanza ai centri abitati fa sottovalutare le necessità
e i problemi e ci capita di incontrare dei turisti in difficoltà:
alcuni con la macchina in ebollizione; altri in bicicletta, senza
acqua e assetatissimi, chiedevano indicazioni e consigli.
A TULOR, in pieno deserto, c'è uno degli insediamenti
più antichi del Cile. Era un villaggio di capanne circolari
di fango di cui restano solo le fondamenta. Per ricreare l'ambiente
ne sono state ricostruite un paio, l'interno è freschissimo
e ombroso, un vero ristoro al gran caldo e all'incredibile riverbero
esterno. Infatti siamo nel bel mezzo del Salar de Atacama
una enorme depressione salina di 3000 km2 intervallata da rugosità,
croste di sale, aree steppiche, rari tamarugos (alberi adatti
a suoli salini) e stagni, tra cui la laguna Chaxa, una
zona protetta, ricca di uccelli tra cui una importante colonia
di fenicotteri rosa.
E poi arriva il giorno della levataccia. I geyser del TATIO
vanno visti all'alba!
Partiamo alle 4 di mattina. 100 km tortuosi e sconnessi. Sonno
e freddo. Il thermos di the caldo viene svuotato subito. Per paura
di arrivare tardi siamo i primi sulla strada, ad ogni bivio l'incertezza
della scelta ma in fine con un buon anticipo sul sole arriviamo
sui 4300 mt del TATIO. I fanali illuminano dei vapori. Il freddo
è veramente intenso e c'è chi preferisce rimanere
nel vago tepore dell'auto. Fuori comincia a schiarire, le fumarole
sono sempre più evidenti e ora si comincia a capire cosa
fossero quegli strani rumori. E' tutto un fermento di bolle, soffi
di vapore continui o alterni, sottili fischi e soffusi barbottii.
Il terreno è tutto un buco e guardando in giro si può
rischiare di finire in qualche pentolone di fango bollente.
Dopo che il sole sorge forse l'atmosfera ne perde un po', ma finalmente
fa un po' caldo e la luce colora i muschi e le straordinarie colorazioni
delle erbe.
Con questo spettacolare paesaggio alle spalle ci dirigiamo verso
un nuovo territorio, verso CASPANA e CHIU CHIU, paesetti sperduti
in un panorama ampio e bellissimo, dove le distanze sono sempre
immense, brulle e disabitate, ma poi basta un piccolo ruscello
ed ecco erba, coltivazioni, animali, case, vita. I paesetti sono
particolarmente attivi, oggi è un giorno di festa e stanno
preparando la processione. Donne e bambini salgono verso la chiesa
portando fiori e cibo. Sono particolarmente felici. Ci scambiamo
sorridenti saluti.
Ormai abbiamo esaurito il nostro tempo e ripartiamo. Ma anche
il periodo cileno e quasi scaduto, ci resta da vedere la LAGUNA
MISCANTI dove con grande dispiacere scopriamo che l'ipotetico
rifugio era disabitato e chiuso a chiave.
Una corona di colline verde salvia racchiude il lago dello stesso
meraviglioso blu del cielo. Una volpe trotterella in riva al lago
nella speranza di cibo. Stavolta nulla e se ne va, scomparendo
tra le erbe del monte. In effetti il cibo non manca ma è
ben protetto, infatti un buon numero di uccelli sta tranquillamente
covando su imprendibili nidi galleggianti a buona distanza dalla
riva. A malincuore dobbiamo lasciare questo paradiso diretti verso
un alloggio che tarderà ad arrivare.
Un po' incoscientemente e contando sulla nostra buena suerte continuiamo
a bearci del paesaggio strepitoso con il tramonto che colora le
erbe di giallo e le montagne di viola, trascurando il leggero
guasto dell'auto, il vento furioso, l'oscurità incombente.
Arrivati al PASSO SICO salta la speranza di un ricovero
presso la caserma di confine. Proseguiamo nella bufera di vento
ormai nella più totale oscurità e con la prospettiva
di dormire ammucchiati nell'auto, ma poi ecco le luci del confine
argentino e "colpo di scena" ci danno ospitalità
proprio i doganieri. Letti, fuoco per cucinare, ambienti riscaldati
e con la luce elettrica, un sogno in confronto ad una tormentata
notte in tenda.
Il giorno dopo sole, aria tiepida e nuovi orizzonti. Un po' più
giù SAN ANTONIO DEL COBRE 3900 mt, dove iniziamo
a costeggiare la famosa e straordinaria opera ingenieristica de
"el tren a las nubes" (il treno verso le nuvole),
una delle linee ferroviarie più alte del mondo che supera
senza cremagliere più di 3000 metri di dislivello in 217
km ma con 21 tunnel, 29 ponti e 13 viadotti. Costruita, per le
necessità minerarie, in 27 anni a partire dal 1921. Il
simbolo di questa ferrovia è il viadotto la Polvorilla
a 4200 mt di quota, alto 65 e lungo 224 mt.
La Polvorilla è
in una zona isolatissima ma c'è una casa, due bambini dagli
occhi dolcissimi con un piccolo lama candido e un cane nero nero.
Infine la QUEBRADA DE TORO e il viaggio si chiude in bellezza
in un tripudio di montagne colorate dalle forme ora sinuose ora
aspre e nel "solito" cielo stupendamente blu.
Via via che si scende, un cactus...due...tre e poi alberi e canti
di uccelli. Pranziamo in riva ad un fiume in un posto che mi ricorda
la strettoia del Brenta dopo Bassano. Ed è già casa.