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Brusegan Maria Grazia

 

Matrimonio a Termeno.
Eravamo partiti presto quella mattina, la nostra meta era Termeno, ben oltre Trento, anzi, a due passi da Bolzano.


Avevamo tutto il tempo per arrivare a destinazione, l'appuntamento era per le ore 13.
L'anticipo era voluto perché, lungo il tragitto, c'era qualcosa di interessante da vedere.

Le luci e le ombre erano fredde, azzurrognole, tipiche delle limpide mattine di tardo inverno.
Dopo Bassano la strada si infila nel "canyon" del Canal di Brenta. Questa strada mi è familiare, eppure in situazioni di luce particolare riesce sempre ad incantarmi e a soggiogarmi. Sarà la dimensione delle pareti, la loro ripidezza, l'austerità delle case, i terrazzamenti, la forza del fiume, ma più ci si addentra nei 20 chilometri di gola e più lo stupore e il senso di schiacciamento crescono.
Sfilano borghi e paesi: Oliero, Sasso Stefani, Merlo, Valstagna. Le vecchie case sono alte e sottili, per meglio sfruttare il poco spazio lasciato dalle pareti rocciose, che man mano si avvicinano sempre più. Nei punti più stretti c'è spazio soltanto per il fiume, per poche case e per le due strade. Le coltivazioni, quando c'erano, si arrampicavano fin dove era possibile, su per le pareti, prima che queste si drizzino verticalmente. Per secoli l'uomo ha modellato il paesaggio. Per creare il piano, dove proprio non c'era, costruì una infinità di terrazze su cui piantare il tabacco. I primi tentativi di questa coltivazione risalgono al 1560, poco dopo la Repubblica di Venezia concede una "garanzia di privilegio". Nel 1702 per l'Erba del Gran Priore sarà istituito un vero monopolio che ne definirà rigidamente regole di coltivazione, commercio e trasporto. Anche Napoleone confermerà i privilegi di cui la zona godeva.
Ora, a parte qualche raro caso di utilizzo, le terrazze sono abbandonate e molte case sono abitate solo nei periodi di vacanza o da immigrati, che qui trovano affitti convenienti.
L'incombere delle pareti e la poca luce - raramente il sole arriva nel fondo della valle - ne fa un ambiente tetro e opprimente. Quando, dopo Primolano, si sbuca nella vallata, larga e assolata, ci si sente più leggeri e si tira un sospiro di sollievo.
Il panorama si aspre, la strada corre sempre in un abbraccio di montagne, ma sono più distanti, meno incombenti, più morbide.
Nonostante la stagione soltanto le cime più alte erano appena appena imbiancate, l'inverno particolarmente mite e il grande caldo dei giorni precedenti avevano sciolto tutta la neve.
Sul lato destro cominciano rocche, torri e castelli. Testimoniano l'importanza millenaria di questa valle, collegamento ideale tra la piana adriatica e le selve europee.
Ed è proprio il rudere di un castello, quella "cosa", che da tempo desideravo visitare, un tipico esempio di fusione tra natura e opera umana. Il luogo è davvero particolare. Con qualche piccola aggiunta, nel XII secolo, l'uomo ricavò, da una grande nicchia naturale, un imprendibile luogo di difesa e controllo sul confine di allora. L'inaccessibilità, l'enorme tetto roccioso, lo spazio ridotto, il colore della roccia di un caldo rosato, la verticalità della soprastante parete, ricordano antichi villaggi indiani visti in America.

  
Siamo a Mezzocorona e questo è Castel San Gottardo, un fortilizio mimetizzato sul fianco del monte. Lo si nota solo se lo si cerca.
Un impervio sentiero, faticosamente, ma velocemente, porta sotto le mura. Impressione ed emozione bloccano il passo. Lo sguardo sale, sale, oltre i resti del muro di cinta, su, su, per arrivare alla fine della parete, dritta e gialla sopra di noi.
Ormai il sentiero è diventato una piccola cengia. A destra la roccia, a sinistra inizia il largo muro difensivo, con piccole finestre che puntano verso la vallata. Ne risulta uno stretto corridoio che conduce ad una altrettanto stretta porta. Uno sbiadito e indecifrabile affresco è tutto quello che rimane delle decorazioni del Castello. Superata l'angusta apertura, la cengia si allarga. Dentro rimangono solo i muri perimetrali di un edificio triangolare e uno quadrato, quasi una torre, usato come eremo fino agli inizi del XIX secolo.
Da qui la visione è ampia, la sottostante vallata è coperta da vigneti a perdita d'occhio.
Quassù, tra queste rocce e le antiche pietre, il silenzio è intenso e suggestivo.
Un riflesso tradisce un movimento, un po' di vita. E' una piccola sorgente, che favorisce la crescita di muschi e felci. Il rivoletto, percorre qualche metro e poi scompare nel terreno.
Per scendere prendiamo un sentiero più dolce, che si avvolge sul pendio, rivestito di edere. Il sole brillante filtra tra i rami spogli e illumina i neri e serpentini tronchi delle roverelle. I primi fiori già colorano il sottobosco. Ormai siamo fuori dagli alberi, lo sguardo sale agli antichi resti e poi via, verso la meta. Scegliamo una strada tranquilla, secondaria ma famosa: la "strada del vino", infatti procediamo tra un susseguirsi di vigne. In questa stagione non c'è traffico ma fra un po' qui ci sarà un gran via vai di trattori per i lavori nei campi.

Attraversiamo alcuni paesi e cominciamo a sentire aria di festa, i preparativi sono già in corso.
Ma l'avvenimento speciale è a Tramin (Termeno in italiano).
Questo era l'anno buono per l'EGETMANN, che si festeggia solo negli anni dispari. I personaggi sono tipici e pittoreschi.
Si tratta del matrimonio del Signore dei Campi, l'Egetmann appunto.
Il protagonista in realtà è un fantoccio di paglia vestito con giacca nera, cilindro e guanti bianchi. Vera, invece, è la sposa, impersonata da un uomo, nel rispetto dell'antica tradizione teatrale che non permetteva alle donne di calcare il palcoscenico.
Il corteo nuziale, che percorre il paese, ha regole precise. E' aperto dai trombettieri che annunciano la sfilata. Seguono i contadini che fanno schioccare lunghe fruste, una tipica usanza altoatesina. Poi vengono gli stradini che puliscono e sgombrano la strada. Arriva il carro carico di sementi (rappresentate da segatura, fieno e paglia) che vengono lanciate sulla folla. E' il turno della carrozza con gli Sposi, accompagnati dal Nnunzio, dai Consiglieri e dai Notabili che portano gli oggetti simbolici: la scala, il registro del protocollo, l'ombrello e due candelieri. Ad ogni fontana, incontrata lungo il percorso, viene appoggiata la scala, sui cui sale un Consigliere, che apre l'ombrello per riparare il Nunzio, che legge la richiesta di matrimonio dell'Egetmann.
Poi, in un crescendo di musica e baraonda, lentamente i corteo di muove. Sfilano i carri allegorici con rappresentazione di lavori tradizionali.
Altre figure tipiche sono: le Lavandaie con secchi d'acqua e stracci (terrore di tanti malcapitati spettatori); il Cacciatore che rincorre il Wilder Mann (Selvaggio), coperto da rami d'edera e con una maschera di pelle di coniglio; la Burgl (sulla schiena porta una gerla con un bambino) che cerca di fuggire al Burgltreiber che la rincorre per bastonarla e ancora gli Schnappvieh chiamati anche Wudele (gruppi di mostri giganteschi, con corna e grandi mandibole, sbattute fragorosamente nella costante ricerca di cibo),

accompagnati dai Macellai che ad ogni fontana ne uccidono uno. Tranne Wilder Mann e Wudele nessuno porta maschere, ma i visi sono coperti da uno spesso strato di cerone nero.
Tutto sta a simboleggiare il passaggio stagionale, la morte e la vita, il vecchio e il nuovo: l'Inverno viene rincorso e ucciso dalla Primavera.
Origine e i significati della sfilata sembrano risalire ad antichi riti sulla fecondità e a sacrifici in epoche precedenti al cristianesimo, più recentemente era il momento di trasgressione prima della penitenza quaresimale.
Oggi è l'esplosione di frenesia del martedì grasso e l'aggregazione gioiosa e vivace di tutto il paese alle tradizioni popolari.
Ma attenzione! gli spettatori non restano passivi, vengono presi di mira dagli scherzi dei personaggi più irrequieti e per questo Vi consigliamo di non indossare i vostri vestiti migliori.

 

BUONO A SAPERSI
Indirizzi: - UFFICIO TURISTICO - 39040 TRAMIN / TERMENO BZ Tel. 0471 860131
e-mail: tv-tramin@rolmail.net

Itinerario: Bassano, Trento, Mezzocorona (Castel San Gottardo, sempre visitabile), Termeno (raggiungibile per Statale 12, deviando all'altezza di Ora o per strada secondaria dall'altro lato della valle (dx orografica) che parte da Mezzocorona). Andata e ritorno 420 chilometri circa.